SUMMER OPEN SEA KAYAK EXPEDITION...

... un altro viaggio in Grecia... là dove nasce il Meltemi...
partiremo da Salonicco e costeggeremo la penisola della Calcidica, sperando di poter navigare anche intorno alla repubblica monastica del Monte Athos. Poi sarà la volta delle isole Thasos, Samothraki e Limnos.
Per noi è un viaggio aperto, sia per il tempo a disposizione che per altri kayaker che si vorranno unire a noi.
Partiremo ai primi di luglio e contiamo di finire entro agosto. Controllando la posizione che regolarmente pubblicheremo
sul blog e su Facebook, sarà possibile raggiungerci in ogni momento per far parte della squadra.
Tatiana e Mauro

Please use the translator on the left.
We're paddling most of the day and we don't have enough time to translate every single post...
We're confident you understand our position!

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
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sabato 28 luglio 2018

Chiudiamo il periplo di Sithonia...

Mercoledì 25 luglio 2018 – 14° giorno di viaggio
Koufos – Kalamitsi (20 km)
Vento SW 5-6 nodi (F2) – mare appena increspato – 30°C
Giornata di lutto
L’Attica brucia.
Le notizie ci raggiungono già la sera degli incendi.
Sono stati appiccati decine di focolai. In casi del genere è difficile pensare che si tratti di autocombustione: niente sembra essere stato lasciato al caso. Col vento forte di questi ultimi giorni gli incendi si sono propagati in maniera “impeccabile”, provocando più di 80 morti, oltre 40 dispersi, centinai di feriti, la distruzione di alcuni paesi ed un’altra indescrivibile serie di danni, perdite ed orrori. Le mani che hanno appiccato le prime fiamme sapranno ora di avere procurato una così grande devastazione, quasi incredibile nel 2018. La storia degli incendi estivi in Grecia è lunga e rinomata, quasi come quella dell’Italia meridionale degli anni passati: ricordiamo ancora bene i grandi pinnacoli di fumo che si alzavano sul Peloponneso, ripresi persino dalle foto satellitari rilanciate sulla rivista settimanale Internazionale, mentre noi eravamo in kayak a Cefalonia nel 2007. Ci era sembrato uno spettacolo osceno ed inaccettabile. E gli incendi si sono susseguiti tutti gli anni, sulle isole e sulla terra ferma, senza mai saltare l’appuntamento estivo. Ma niente è paragonabile alla tragedia di quest’anno: il fuoco ha generato così tanto fumo che le persone, se non sono morte bruciate, sono state intossicate e molti, dicono i giornali, hanno perso la vista e l’orientamento, tanto da non riuscire neanche a mettersi in salvo raggiungendo il mare, spesso vicino. Ci sono state scene raccapriccianti che ci hanno scosso nel profondo: genitori che cercano i figli scomparsi, figli rimasti senza genitori, turisti morti soffocati, 26 corpi trovati abbracciati nel giardino pietrificato di una villa nell’ultimo vano tentativo di proteggersi a vicenda, una ragazzina che si getta dalla scogliera coi vestiti in fiamme mentre alle sue spalle i genitori urlano diventando torce umane. Indicibile.
Per noi poco vale l’annuncio della Farnesina che non ci sono italiani coinvolti negli incendi. Le vittime sono un numero impressionante.
Quello che ci ha rincuorato un pochino è stato leggere che la catena della solidarietà si è attivata subito: i paesi vicini hanno inviato aerei canadair e lo slancio delle persone comuni non si è fatto attendere. Mentre a Salonicco un branco di nazisti aggredisce degli immigrati mandandone quattro all’ospedale, ad Atene invece donano il sangue per i sopravvissuti degli incendi tanti Palestinesi, Curdi e Siriani, e pescatori egiziani salvano decine di persone che si sono gettate in mare per salvarsi dalle fiamme, e i tassisti offrono corse gratuite per aiutare chi fugge dalle zone bruciate. Le farmacie regalano bende, pomate e medicinali, i negozi acqua ed alimenti; le persone aprono le proprie case agli sfollati e gli alberghi mettono a disposizione le camere sfitte per chi ha perso ogni cosa...
I nostri amici greci sono tutti lontani dalla capitale, sparsi nelle varie isole per la stagione estiva in kayak: un paio di loro, però, di stanza ad Atene, hanno risposto all’appello lanciato dai social network rassicurando di star bene. Noi stiamo bene, solo molto rattristati e scossi da queste tragiche notizie. Il governo greco ha dichiarato non una soltanto bensì tre giornate di lutto nazionale: ci sarà ancora tanto da fare per rimarginare una ferita così profonda…
Mentre l’Attica brucia, qui nella Calcidica invece diluvia.
Anche oggi il cielo è coperto da possenti cumulonembi che sembrano volerci inseguire. Col cuore gonfio di malinconia, usciamo dal protetto golfo di Koufos, ci avviamo verso il capo e scoviamo la prima spiaggia “dieci e lode” di Sithonia: appena oltre Akrotiri Lemos scendiamo per una sosta e per qualche foto ricordo.
Poi ci spostiamo verso Akrotiri Psevdokavos dove notiamo, alle spalle che piccolo promontorio a forma di guerriero che sostiene il lilliputh-faro, una piccola baia deserta che ci sembra ideale per lavarci di dosso la salsedine di due settimane di viaggio e la tristezza di questa giornata di lutto.
Saltiamo invece il successivo Golfo di Ambelos perché il suo piccolo fiordo profondo un paio di chilometri, costellato di belle rocce bianche e verdi, è completamente occupato da una serie di allevamenti ittici ben segnalati da brillanti boe arancioni, quelle sul lato settentrionale ancora in fase di installazione.
Appena giunti nella baia di Kalamitsi contiamo 4 campeggi e 3 stabilimenti balneari nei 2 chilometri di spiaggia sabbiosa ed impieghiamo così appena 1 secondo per decidere di andare oltre. Solo che Mauro nota qualcosa di molto strano accadere alle mie spalle: una pesca saltella sul mio ponte posteriore. Sento urlarmi nelle orecchie: “Tatiana, hai completamente allagato il terzo gavone!”.
Nello sconforto più assoluto, ricostruisco l’accaduto: nella cala dello shampoo, per fare un’ultima foto ricordo dal kayak, cerco nel gavone la pezzuolina per pulire l’obiettivo. Scatto la foto, ma dimentico il tappo aperto. Dopo oltre un’ora di navigazione l’acqua è penetrata anche nel gavone di poppa, attraverso quel foro di compensazione che pratichiamo in tutti i nostri kayak per evitare che i tappi si eccitino o deprimano ad ogni cambio di temperatura. Meno male che l’invenzione di Mauro di sistemare sul fondo del gavone degli asciugatori universali ha trattenuto la maggior parte dell’acqua e… Vabbè, c’è da lavorare tutta la serata: sbarchiamo poco dopo le cinque su una spiaggetta di sabbia chiara su cui sventola una bandiera pirata. Prima tiriamo fuori ogni cosa dai due gavoni, poi asciughiamo ogni pezzo dell’attrezzatura, controllando anche quelli ancora asciutti, dopo lasciamo tutto all’aria per qualche ora e alla fine, mentre Mauro monta il campo e prepara la cena, io finisco di riporre tutto nelle rispettive sacche stagne. Senza che le zanzare si facciano vive a massacrarci gambe e braccia: sembrano anche loro a lutto nazionale, è la prima volta che non compaiono al tramonto.
Il lavoro è lento e meticoloso e riesco a sistemare tutto quando ormai è buio. Poco male: tenere occupate le mani aiuta a liberare la testa dai neri pensieri della giornata…

La cala "dieci e lode" ad Akrotiris Lemos, sulla punta meridionale della penisola di Sithonia...
La costa lungo l'estremità meridionale della penisola...
Il profilo del guerriero sul capo Akrotiri Psevdokavos...
Appena oltre cala Ambelos...
Asciugatura!
La stessa cala al mattino, dopo il temporale...

Giovedì 26 luglio 2018 - 15° giorno di viaggio
Kalamitsi – Akrotiri Rigas (18 km)
Vento NW 5-8 nodi (F2-3) – mare calmo – 32°C
Temporale mattutino
Forse suggestionata dalle devastanti notizie sugli incendi dell’Attica, la mia notte si riempie di incubi agghiaccianti. Alle tre del mattino, stravolta, mi ritrovo a rigirarmi nel sacco a pelo, poi nella tenda: alle quattro esco, andando su e giù lungo la piccola spiaggia. Alle cinque del mattino, quando si cominciano a notare i primi bagliori dell’aurora, il cielo nero della notte ancora incombente si illumina di altri bagliori lontani: dietro i monti di Sithonia le nuvole paffute si rischiarano ad ogni lampo ed i tuoni si fanno via via più vicini. Aspetto ancora una mezz’oretta, tanto lo spettacolo è accattivante, e poi mi decido a montare il telo esterno della tenda, facendo attenzione a non accendere la luce frontale e a non fare alcun rumore per non svegliare Mauro. Che infatti continua a russare fino alle otto e mezza. Quando finalmente il temporale si decide a raggiungere il nostro campo e a scaricarsi in pochi minuti sulla nostra tendina.
Facciamo colazione chiusi dentro.
Poi tutto cambia, come sempre dopo i temporali estivi.
Il cielo si schiarisce, il sole fa capolino tra le nuvole, la temperatura sale velocemente. E altrettanto velocemente arriva nella “nostra” caletta un motoscafo battente bandiera ceca carico non solo di cinque bimbetti iper-eccitati ma anche di una quantità incalcolabile di giochi estivi, compresi gommoncino gonfiabile, bananetta e sci d’acqua.
Fuggiamo.
La carenza di sonno mi fa sentire le braccia pesanti come due tronchi.
I cinque-sei nodi di brezza contraria mi sembra siano più del doppio.
Ogni pagaiata mi costa una fatica tripla rispetto al normale e…
Mauro si impietosisce e mi propone una sosta alla kantina della bella spiaggia di Kriaritsi: due toast prosciutto e formaggio e un caffè frappè mi risollevano un po’. Ma ci attendono altre due ore contro vento, che mi pesano tantissimo.
Sbarchiamo prima del solito, appena dopo le cinque del pomeriggio, su una spiaggia occupata solo da una grande tenda che sembra più un bazar orientale, per quanti teli da mare colorati sono stesi sulle cime tutte intorno. Una solitaria ragazza greca ci accoglie con un grande sorriso e poi si ritira nei suoi spazi.
Ceniamo presto e ci infiliamo in tenda che è ancora chiaro: io crollo tra le braccia di Orfeo che sono appena suonate le otto di sera!

Uno scettro pietrificato!
 Un raro passaggio tra gli scogli: in entrata...
... ed in uscita dal passaggio!
Nuvoloni sul Monte Atos...
Si prepara un altro temporale...
Sosta nella caletta isolata ed inaccessibile...

Venerdì 27 luglio 2018 – 16° giorno di viaggio
Akrotiri Rigas – Paralia Karidy (21 km)
Vento S 2-3 nodi (F1) – mare calmo – 35°C
Lotta per la sopravvivenza (all’afa)
Mauro si sveglia per primo e sistema il telo parasole in modo da tenere la tenda in ombra il più a lungo possibile. Mi sveglio quando lui ha già finito di farsi la barba: facciamo colazione insieme e con calma ci prepariamo ad affrontare un’altra giornata di temporali annunciati e schivati.
Alle undici e mezza irrompe nella baia un barcone carico di turisti: sono appena una ventina ma sembrano un centinaio, per le urla che invadono la cala al loro arrivo. Noi siamo già coi kayak in acqua. Fuggiamo ancora.
Le spiagge lungo la costa del versante orientale della penisola di Sithonia sono molto belle, silenziose anche quando affollate di bagnanti, alcune perfino deserte. Le pinete ricoprono le colline circostanti e le casette per le vacanze spuntano tra il verde sempre più numerose.
Dopo otto chilometri di pagaiata mattutina ci concediamo una sosta rinfrescante poco prima della spiaggia di Armenitis, invasa dai camper di un campeggio che occupa tutta la sua estensione. Avendola avvistata da lontano, scegliamo una caletta isolata inaccessibile da terra dove è stata montata, e al momento lasciata incustodita, una grande tenda condominiale a tre piazze. Restiamo soli ad ascoltare il tintinnare delle lattine vuote di birra che sono state appese tutte intorno al condominio abbandonato: la temperatura cresce e l’assenza di vento la rende quasi insopportabile.
Un altro paio d’ore nell’afa più pesante e spessa di tutto il viaggio e ci risolviamo a fermarci per un’altra sosta in una baietta anonima, dove però trovo una rigogliosa pianta di finocchio marino che raccolgo e condisco con olio d’oliva: il pranzo è servito, anche se fuori orario.
Sbarchiamo presto anche stasera, ancora prima delle cinque del pomeriggio, sfidando una agguerrita sfilza di bagnati che sguazza nell’acqua bassa della baia e che mi ricorda il disgusto di Mafalda per la minestrina. Stavolta è Mauro ad avere dormito poco e ad avere bisogno di recuperare le forze: ceniamo in taverna con una porzione gigante di carbonara, piatto che qui in Grecia viene servito in una gustosa variante creativa fatta con prosciutto crudo, panna e funghi. La preferita dell’Uomo di Ferro!
Potremmo anche attendere la tanto attesa eclissi lunare ma qui sulla Calcidica si sono addensate così tante nuvole spesse e scure che lo spettacolo ci sarebbe comunque precluso…

Faraglione Dart Fener!
Sbarco impossibile!
Cala del risveglio all'inglese: la stessa dello sbarco impossibile!
Uno splendido due-alberi nel golfo interno dell'isola di Diaporos... 
La cala delle capre...
La caletta in cui Panos ha tediato Jorgos & Sofia (e noi!) fino al tramonto!

Sabato 28 luglio 2018 – 17° giorno di viaggio
Paralia Karidy – Pyrgadikia (22 km)
Vento ESE 4-5 nodi (F2) – mare calmo - 30°C
Accerchiati dai temporali
Veniamo svegliati da una comitiva di inglesi che scende in spiaggia come fosse la padrona del posto e che parla forte anche dopo avere notato che noi stiamo ancora dormendo. Alle sette del mattino abbiamo già smontato il campo: un record che ci saremmo volentieri risparmiati!
Siccome le nove ci sembrano un orario incongruo per partire, ci concediamo una capatina nella kantina sistemata sotto l’ombra della pineta che incorona la spiaggia di Karidy: per cominciare bene la giornata, e dimenticare l’irrispettosa tracotanza degli inglesi, ci regaliamo un doppio caffè frappè glikò me gala, il tipico caffè solubile shekerato servito con ghiaccio, latte e zucchero. Una bomba calorica che ci aiuta sempre.
Quando torniamo ai kayak una coppia di Treviso si avvicina per chiederci dove siamo diretti e segue con attenzione gli ultimi preparativi prima dell’imbarco.
Schiviamo un’altra fitta armata di bagnanti mattinieri e ci spostiamo subito sulla vicina Diaporos, una bella isola bassa e frastagliata presa d’assalto dalle barche a noleggio, quelle con la tendina a strisce bianche e rosse e con il motore sempre troppo rumoroso. Cerchiamo di evitare la folla del sabato estivo costeggiando il versante interno dell’isola, ricco di pinete che arrivano fino al mare: sotto ogni pino spunta una tenda ed in ogni caletta sono ancorati diversi motoscafi. C’è folla ovunque.
Tiriamo dritti fino al capo settentrionale dell’isola per poi traversare sulla vicina isoletta di Kalogria, dove scoviamo una spiaggia deserta di ciottoli e conchiglie: non c’è nessuno perché tra gli ulivi pascolano silenziose ed incuranti delle capre semi-selvatiche. Trovo sul bagnasciuga un paio di ossa dilavate dall’acqua che assomigliano a due cavallucci marini e che andranno di certo ad arricchire la mia collezione di pescetti.
Quando è appena scoccato mezzogiorno raggiungiamo il vicino capo di Pyrgos, avvolto da due belle spiagge di sabbia chiara e fine. Sempre occupate dal solito campeggio. Allora sfruttiamo la leggera brezza che soffia a nostro favore e tagliamo al largo di un paio di chilometri, puntando le prue verso nord per raggiungere le cittadina che scorgiamo su quel capo lontano, al fondo della penisola di Sithonia. Sulla terraferma si profila un nuovo temporale, coi nuvoloni alti che lanciano tuoni e che si spostano veloci da est ad ovest: non ci sfiora nemmeno, la pioggia, ma quando gira il vento ci investe un intenso odore di terra bagnata e di resina.
Dodici chilometri e due ore dopo entriamo nel porticciolo, scoviamo un angolino di spiaggia ciottolosa alla radice della diga foranea, tiriamo i kayak in secca su un prato selvatico, troviamo un angolino adatto per la tenda tra fiorellini gialli e viola ed un’infinita di grilli e di insetti stecco di gni dimensione e ci precipitiamo in taverna: la voglia di souvlaki è cresciuta durante la traversata e non riusciamo più a contenerla.
La taverna è molto accogliente e pittoresca, arredata con cura in stile campagnolo, con cesti di vimini come paralumi, con piccole zucche ornamentali che pendono nella veranda, con trecce d’aglio ad incorniciare le finestre. Persino nel bagno ci sono vasi di vetro ricolmi di semi secchi e rami intrecciati e sacchetti di erbe aromatiche. I menù sono decorati con pizzi color ecru e panna e accanto ai tavolini di legno c’è una teca di vetro per lo scambio degli oggetti: se te ne piace qualcuno, prendilo lasciandone uno tuo! E’ il luogo ideale per trascorrere la serata ed aggiornare il blog…

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Tatiyak SPOT
Latitudine:40.33291
Longitudine:23.72255
Posizione GPS Data/Ora:07/28/2018 14:53:27 CEST

Messaggio:Nord Egeo Kayak Tour 2018.
Stiamo bene e il viaggio prosegue come programmato...

Fai clic sul seguente collegamento per vedere dove mi trovo.
http://fms.ws/zEpfg/40.33291N/23.72255E

Se il link sopra non funziona , provate questo link:
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martedì 24 luglio 2018

Baciati dalla pioggia...

Domenica 22 luglio 2018 – 11° giorno di viaggio
Psakoudia – Paralia Elia (24 km)
Vento SW 5-8 nodi (F2-3) – mare quasi calmo – 30°C
Giornata noiosa
Trascorriamo buona parte della mattinata all’ombra della fresca raduna di rubinie alle porte del paesino. Ci riprendiamo il sonno rubato dalla taverna in cui abbiamo cenato la sera prima, dove ci hanno fatto attendere oltre mezz’ora per portarci il conto… o forse è stata la porzione troppo generosa di tsipouro aromatico, il forte liquore tipico di queste parti.
Partiamo con tutta calma e copriamo appena sette chilometri nelle prime due ore: la brezza, benché appena accennata, soffia in direzione ostinata e contraria, come cantava il poeta, e ci rallenta in maniera indegna.
La costa corre bassa e poco frastagliata ma comincia a farsi bella, piena di verde e con tante spiagge attraenti. Regna il silenzio, anche davanti agli ultimi sparuti stabilimenti balneari, che per nostra fortuna non sparano più musica a tutto volume.
Recuperiamo un poco di energia e di chilometri nel pomeriggio, quando si attenua finalmente la brezza contraria, dopo un paio di soste in piccole calette idilliache dove però non riusciamo proprio a restare da soli: c’è ancora troppo gente intorno.
Sbarchiamo in una baia riparata, sia mai che il vento abbia intenzioni impreviste: le due ragazze, che hanno lungamente atteso il rientro dei compagni subacquei dalla battuta di pesca che ha fruttato loro appena un piccolo polpo, ci salutano con grandi sorrisi e ci augurano di trascorrere una buona serata. Ma ci dicono di stare attenti alle zanzare, che infatti non si fanno attendere…

Il campo delle zanzare alla spiaggia di Paralia Elia...
La taverna 8+ a Paradisos!
L'inizio del fortunale...
Il cielo sempre più minaccioso...
Il guado dello stretto...
Dopo una notte di pioggia battente nella baia di Diaporti
Uno dei vari "campeggi liberi organizzati" incontrati lungo costa...

Lunedì 23 luglio 2018 – 12° giorno di viaggio
Paralia Elia – Diaporti (24 km)
Vento variabile da SE 3-5 nodi (F2) a NW 30 nodi (F7) – mare da calmo a mosso – 28°C
Giornata movimentata
Due ore di calma piatta, quattro ore in taverna e due ore di tempesta!
La giornata potrebbe anche riassumersi così.
E al mattino pensiamo proprio che sia la solita giornata noiosa: che palle. Perché comincia con un cielo coperto ed un mare calmo ed una costa priva di interesse che ci toglie ogni energia.
Quando sbarchiamo nel paesino di Paradisos abbiamo solo intenzione di fare un po’ di spesa. Mentre torniamo ai kayak con le buste piene di yogurt, frutta fresca e “sesamini”, però, un deciso vento contrario inizia a soffiare in maniera così improvvisa che ci ricrediamo subito: meglio fermarsi a pranzo in taverna. Tanto più che quella che si apre davanti ai nostri occhi è la prima vera taverna greca in cui ci siamo imbattuti dall’inizio del viaggio: veranda sul mare, tavoli di legno, conduzione famigliare. E pazienza per i buoni propositi: quelli d consumare solo barrette di semi di sesamo tostato col miele di cui abbiamo appena fatto incetta. Che senso ha combattere contro il vento quando lungo la costa non c’è niente di interessante da vedere? I piatti di gavros, horiatiki e tzatziki ci convincono di avere fatto la scelta giusta! Impieghiamo appena una mezz’oretta per consumare quello che è ormai diventato il nostro menù “tradizionale”: sardine marinate, grigliate o fritte, come capita oggi, insalata greca con pomodori freschi e gustosi, cetrioli, cipolle, olive ed una generosa fetta di feta, il formaggio greco, ed il solito contorno di tzatziki, la famosa crema greca di yogurt, aglio e cetrioli. Le altre tre ore e mezza le passiamo ad osservare il mare, con le gambe sempre ben disposte sotto al tavolo apparecchiato sulla spiaggia, a due passi dai nostri kayak.
Alle sei del pomeriggio il vento contrario cala all’improvviso.
Ci prepariamo.
Appena oltre il capo Akrotiri Marmara, che ospita un campeggio di roulottes stanziali sistemate su terrazzamenti digradanti verso un’unica piccola spiaggia di sabbia fine, qualcosa cambia alle nostre spalle.
Notiamo dapprima qualche raro frangente che spruzza di bianco l’orizzonte vicino, verso il fondo del golfo di Kassandra. Sentiamo anche il rombo costante del mare che cresce e si avvicina. Dopo qualche minuto l’aria si rinfresca all’improvviso ed il vento inizia a soffiare deciso da nord-ovest, la direzione opposta rispetto a quella da cui soffiava in mattinata. Il cielo si riempie di nuvoloni scuri ed ogni tanto sentiamo anche qualche tuono lontano. Sappiamo già cosa sta per succedere, per averlo vissuto durante il periplo della Sardegna tre anni addietro: è l’inizio di un temporale.
Il bello di un viaggio in kayak è anche questo: poter scrutare l’orizzonte a 360 gradi, notando anche il più lieve cambiamento nell’aria e monitorando ogni repentino stravolgimento delle condizioni atmosferiche. In città non è quasi mai possibile, al massimo si riesce a vedere una strisciolina di cielo tra i palazzi e non si può mai godere di una visione d’insieme. In kayak ci capita spesso di sentirci al centro del mondo.
Solo che oggi questo mondo ha deciso di diventare nero.
Dapprima il mare prende il colore avvolgente del mercurio, poi quello intenso del petrolio, mentre dietro di noi le onde prendono a striare di bianco il mare diventato scuro come la pece. Il vento si fa aggressivo, ci costringe a calare tutta la deriva, a correre veloci sulle onde ravvicinate e ad usare appoggi e timonate per mantenere rotta ed equilibrio. Le creste spumose dei frangenti si fanno alte e nervose, lanciandoci a volte in lunghe galoppate che ci allontanano l’uno dall’altra. Riavvicinarsi non è mai troppo difficile, anche se filiamo sul mare in tempesta ad oltre cinque nodi, come mai prima in questo viaggio ci era capitato di fare. Per rassicurare gli occupanti di una vela all’ancora che si sbracciano per richiamare la nostra attenzione, forse per capire se abbiamo bisogno di assistenza, ci avviciniamo e scattiamo qualche foto alla loro bella imbarcazione: col tempo abbiamo capito che scattare foto nel mare mosso è il segnale più chiaro e rassicurante che stiamo bene e che ci stiamo pure divertendo!
C’è solo un momento, per fortuna spazzato via veloce dal vento, in cui temo di esserci cacciati in un bel guaio: quando le raffiche sempre più violente sollevano in aria acqua nebulizzata proprio davanti alle prue dei nostri kayak. Sappiamo per esperienza che i mulinelli d’aria sono il chiaro segnale di un vento forza 8, che ci siamo ripromessi da tempo di evitare in ogni modo. Con l’acqua nebulizzata, invece, siamo “appena” in un forza 7, possiamo ancora navigare. Tanto più che filiamo dritti come due proiettili.
In quell'unico attimo penso che, se fosse proprio necessario, potremmo sempre zatterare i due kayak e farci portare dal vento, che per una volta va dove anche noi dobbiamo andare. Ma non arriviamo a tanto.
E’ nostra intenzione superare d’infilata l’ampio golfo di Nea Marmaras per non vedere quei due alberghi color giallo paglierino, che sembrano più due navicelle spaziali schiantate in riva al mare, costruiti davanti all’insenatura naturale di Porto Carras, trasformata neanche a dirlo in un porticciolo turistico per i danarosi clienti di cotante schifezze architettoniche.
Oltre il capo dovremmo essere ridossati e gli spintoni del vento dovrebbero calare.
In poco meno di mezz’ora siamo di là, ma la costa così frastagliata accoglie il vento in ognuna della molte vallate che terminano nelle calette sabbiose incassate lungo la scogliera rocciosa. Ognuna di queste baiette meriterebbe una sosta: le spiagge di sabbia fine sono incoronate da una fitta schiera di pini alti e rigogliosi, non ci sono case, né tende, né motoscafi, né auto, né musica. E’ un piccolo angolo di paradiso, il primo che ci capita di incontrare da quando abbiamo iniziato il viaggio nella penisola calcidica: il tratto di costa tra Porto Carras e Galini è uno dei più belli di questa parte di Grecia.
Peccato solo che noi ce lo godiamo di sfuggita, presi come siamo a contenere le sferzate del Meltemi. Di quando in quando gettiamo uno sguardo alla costa, ma per la maggior parte del tempo siamo concentrati sul mare: le raffiche precipitano dai tre-quattrocento metri delle colline circostanti e prendono velocità ancor prima di raggiungere l’acqua. Ed i nostri due kayak. Appena entriamo in una cala, il vento ci investe al traverso, costringendoci a cambiare completamente l’assetto di navigazione; quando siamo oltre la metà della baia, lo stesso vento si rimette prima al giardinetto, condizione che per me risulta più laboriosa da gestire, e poi ancora di poppa piena. Laddove contavamo di essere ridossati, ci ritroviamo invece ancora investiti dal vento forte e teso che scende da nord.
Portiamo pazienza fino al capo successivo, quello punteggiato dalle tre isolette sorelle di Spalathronisia, e cerchiamo con qualche fatica il varco che separa la terra ferma dalla più grande isola di Pounda, proprio sulla punta di questa strana penisoletta. L’ora è ormai tarda, sono scoccate le otto di sera, il cielo è sempre più scuro di nuvoloni e qualche folata inizia ad essere più fredda e pungente delle altre. La carta ed il gps ci dicono che c’è uno stretto, un piccolo passaggio oltre il quale trovare rifugio ma… nella realtà non lo riusciamo a vedere. Non perché le onde siano ancora troppo grosse da nascondere la costa, e neanche perché la nostra concentrazione sia tutta rivolta al mare ingrossato dal vento. E’ solo che ‘sto benedetto canale non lo riusciamo proprio a scovare.
Finalmente, dopo avere passato al largo la terza isoletta, notiamo un basso fondale che potrebbe essere il nostro stretto… così stretto e basso che dobbiamo scendere dal kayak per riuscire a guadarlo!
Poi veniamo catapultati in un altro mondo: il mare è piatto come l’olio, il vento sibila solo tra le fronde lontane degli alberi più alti, l’aria si fa immota e calda. Scegliamo la spiaggia più lontana dal campeggio, uno dei tanti che si affacciano su questa parte della penisola di Sithonia.
Appena sbarchiamo, contenti di esserci tratti d’impaccio da un così tempestoso temporale estivo, affaticati dalla imprevista galoppata marina e sollevati all’idea di poterci godere l’ultima ora di luce della giornata, inizia a diluviare. Neanche il tempo di rilassarci un momento: indossiamo la giacca d’acqua che fino ad ora era rimasta nei gavoni, montiamo la tenda in fretta e furia e ci rifugiamo nel suo covo caldo e buio ancora tutti bagnati ed infreddoliti.
Ceniamo al volo con grissini di sesamo ed un grappolo d’uva.
Stanchi e contenti della giornata così piena e movimentata! 

I massi granitici del vecchio Kastro Likythos...
Braccati dal temporale...
Scogli interessanti...
Sotto la pioggia...
Tripudio di rocce colorate verso Koufos...
L'ingresso del Golfo di Koufos...
Degno utilizzo delle pinne nobilis!

Martedì 24 luglio 2018 – 13° giorno di viaggio
Diaporti – Koufos (14 km)
Vento NW 4-5 nodi (F2) – mare calmo – 26°C
Giornata piovosa
Il risveglio è più lento del solito.
Aspettiamo che il sole faccia di nuovo capolino tra le nuvole per fare asciugare la tenda che si è inzuppata durante la notte di pioggia.
Riprendiamo le sane vecchie abitudini di ripartire dopo mezzogiorno.
Costeggiamo il primo tratto di costa, disseminato di tante piccole spiagge di sabbia chiara su cui hanno montato il campo sia delle tendine colorate che dei camper attrezzati di tutto punto.
La successiva lunga spiaggia di Toroni è ricoperta di bagnanti ed ombrelloni: non ce la sentiamo di avvicinarci troppo e tagliamo sulla torre che ormai diroccata spunta poco più a sud. Si tratta in realtà del vecchio sito archeologico del Castello di Likythos, le cui imponenti mura di fortificazione sono ancora in parte ben visibili lungo tutto il tratto roccioso dell’intero promontorio. Alcuni massi imponenti di granito sono finiti in acqua e impreziosiscono la piccolo spiaggetta ai piedi del castello in cui ci ritroviamo finalmente da soli.
Saliamo in kayak proprio quando riprende a piovere.
Prima è una leggera pioggerella fresca e delicata che ci fa sorridere, poi una pioggia più decisa e consistente che fa saltellare goccioloni d’acqua dolce sul pelo dell’acqua salata, e che ci fa scoprire innamorati dello spettacolo sempre nuovo ed affascinante del temporale estivo. Dopo pochi minuti, però, la pioggia cresce d’intensità e la consistenza delle gocce è tale da far quasi male alle braccia nude. A parte questo trascurabile inconveniente, l’acqua diventa più calda dell’aria, Mauro si calca in testa il cappello nord-ovest ed io continuo a godermi il momento. Alla pioggia si aggiungono presto lampi e tuoni ed il cielo sembra chiudersi attorno ai nostri due piccoli kayak.
Ci guardiamo un po’ perplessi ma non disperiamo: il nostro porto è vicino, appena oltre il capo, dentro una baia riparata da tutti i venti e verso la quale corrono da direzioni diverse sia una barca a vela che un peschereccio, per il momento ancora avvolti da una fitta cortina di pioggia, tanto che sembrano levitare sull’acqua.
Non è facile trovare un posto adatto per lo sbarco: la strada sterrata corre a pochi metri dal mare e dal lato opposto del paesino di pescatori si apre uno stagno che sarà pieno di zanzare.
Ci accontentiamo di un triangolo di sabbia proprio accanto al porto, da cui scorgiamo subito la nostra taverna per la cena, anche se è appena iniziato il pomeriggio: sarà che tutta questa pioggia ci ha messo una gran fame!

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Tatiyak SPOT
Latitudine:39.96886
Longitudine:23.92054
Posizione GPS Data/Ora:07/24/2018 15:02:30 CEST

Messaggio:Nord Egeo Kayak Tour 2018.
Stiamo bene e il viaggio prosegue come programmato...

Fai clic sul seguente collegamento per vedere dove mi trovo.
http://fms.ws/z2x1C/39.96886N/23.92054E

Se il link sopra non funziona , provate questo link:
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Tatiyak SPOT

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sabato 21 luglio 2018

Kassandra alle spalle...

Mercoledì 18 luglio 2018 – 7° giorno di viaggio
Mendi Kallanda – Agios Nikolaos (33 km)
Vento variabile, NW 12-14 nodi (F4) al mattino e SW 4-5 nodi (F2) al pomeriggio – mare poco mosso – 32°C
Doppiamo il capo della prima penisola
La spiaggia su cui abbiamo trascorso la notte è talmente bella che facciamo fatica a lasciarla: la tenda sistemata all’ombra delle fronde basse ed ampie di un incredibile esemplare di pino marittimo, i kayak adagiati sulla sabbia fine e chiara, la maschera dimenticata dopo la nuotata del mattino sui ciottolini policromi della battigia. Nessuno intorno, solo un paio di ombrellini para-sole in lontananza e qualche raro bagnante che passeggia sulla riva, a debita distanza di sicurezza dal nostro campo.
Ce ne saranno altri, di posti così incantevoli, lungo la penisola?
Mauro ieri si era un po’ scoraggiato, dopo quell'interminabile sequenza di case-vacanze e bagni attrezzati disseminati senza soluzione di continuità lungo la costa. Quando abbiamo scovato questo angolino isolato non c’è sembrato vero. Anche per questo è difficile separarcene…
Partiamo col nostro solito ritmo lento, alle undici del mattino, quando il vento ha rinforzato da un paio d’ore e sembra invitarci a prendere il mare ogni volta che un’onda più decisa delle altre riveste di schiuma bianca la sua crestina arricciolata. Ci facciamo pregare ma poi ci godiamo la giornata di navigazione: per tutta la mattinata, fino alla sosta delle due del pomeriggio, infatti, pagaiamo col vento a favore, sfruttando al meglio le tante onde irregolari, discontinue e nervose che circondano i kayak.
La costa è ancora lineare e bassa, con una dorsale di colline verdi punteggiate di casette sparse dai tetti di tegole rosse. La strada asfaltata corre sul mare, talvolta così ravvicinata da avere bisogno di mura di contenimento appoggiate sull’acqua: si aggiungono a quelle di cemento costruite per proteggere le casette a schiera e gli stabilimenti balneari.
E niente ci fa supporre che il paesaggio possa cambiare.
Almeno fino a Loutra, un piccolo villaggio turistico in cui la diga foranea di massi scuri è stata realizzata per difendere non il porto bensì la spiaggia, sempre piena di ombrelloni di paglia disposti in strette file parallele.
Poco oltre, però, si apre un piccolo anfratto nascosto tra alcuni scogli lavorati dal mare, dalla curiosa forma di carciofi che spuntano dall’acqua cristallina e che ci fanno sperare in un qualche cambiamento.
Dietro il capo poco pronunciato troviamo una serie di idilliache spiagge incastonate tra scogli argentati, tutti scavati come denti di cane, con tante piccole grotte e passaggi inaccessibili che li separano dal fondale. Tiriamo i kayak in secca per una mezz’ora tra rigogliose piante di capperi e distese di finocchio marino. Ciottoli rossi, verdi e gialli spuntano tra la sabbia.
Il paesaggio comincia finalmente a farsi interessante.
Dopo qualche altro chilometro incontriamo persino uno scoglio (l’unico, purtroppo!) che da lontano ha un inconfondibile profilo di rana gigante, da vicino prende invece la forma di un bel camaleonte, e visto poi dall’altro lato si trasforma in un asinello.
La strada corre adesso nell’interno e tra le pinete lussureggianti si intravede soltanto uno sterrato. Le cale sono deserte e disabitate, solo una o due villette si nascondono sotto la folta macchia mediterranea, nessuno a terra o in mare. Ed è così per qualche ora, con sentiti ringraziamenti da parte di Mauro, che cominciava a disperare.
Ci concediamo un’altra breve sosta su una caletta di pietre scure dimenticata da tutti, inaccessibile da terra e raggiunta solo da qualche rara onda, che ha depositato nel tempo una formina verde dalle sembianze di un gamberetto, una bella radice tozza e forata e qualche riccio rosso.
Dopo aver riposto nel gavone i miei preziosi ritrovamenti, decidiamo di affrontare l’ultimo tratto di costa, quello del capo più meridionale della penisola, Akrotiri Paliori, sormontato da un lilliput-faro sul suo piccolo traliccio di acciaio dipinto di bianco. Alcuni gabbiani silenziosi osservano il nostro passaggio lento e circospetto, ora che il vento si è alzato in direzione contraria, tra gli scogli che occupano la punta e le evidenti correnti di marea che si incrociano poco al largo. Nel risalire la costa rocciosa e dirupata, ormai tutta in ombra, ci sorprende il gran numero di piccole insenature che si aprono sull’ultima propaggine della penisola di Kassandra: sembra che un capo soltanto non sia sufficiente a dirne l’importanza e qualcuno si sia divertito a mettercene tre o quattro in più, uno ogni 500 metri circa. Dopo un’altra corposa corrente di marea disegnata in superficie su un basso fondale roccioso, viriamo le prue dei nostri due Voyager nell’ampio golfo di Agios Nikolaos, al cui centro campeggia, su una penisola bassa, lunga e stretta, l’omonima cappella bianca con giardinetto d’ordinanza. 
Sbarchiamo lì vicino e ci godiamo il tramonto.

Il campo più bello!
La costa sembra farsi interessante,,,
L'unica roccia degna di nota...
Verso il capo meridionale della penisola di Kassandra...
La piccola corrente sul capo...
Il tramonto ad Agios Nikolaos

Giovedì 19 luglio 2018 – 8° giorno di viaggio
Agios Nikolaos – Ormos Paliouri (9 km)
Vento NW 18-22 nodi (F5) – mare poco mosso – 33°C
Veranda sul mare
Alle quattro del mattino Mauro mi chiama.
Una bottiglia di plastica ha bussato alla nostra tenda.
Il mare è cresciuto così tanto da arrivare a lambire i materassini.
Dobbiamo spostare il campo: alle quattro e venti abbiamo già portato i kayak sul prato vicino e la tenda sulla veranda della casetta bianca oltre il primo ed unico tornante della strada sterrata che corre verso il paese nella cala successiva. L’aurora inizia a schiarire i contorni della baia ma noi riusciamo a dormire altre quattro ore piene, al riparo dal vento e all’ombra della veranda dell’ultima casa della penisola di Kassandra.
Ieri abbiamo fatto molta fatica a controllare le previsioni meteorologiche. Non potevamo quindi sapere che il Meltemi si sarebbe svegliato a mezzanotte. Per prima cosa stamattina guardiamo tre siti diversi, per non correre nuovamente il rischio di fare un risveglio da pivelli.
Il mare è sempre agitato, ingrossato da onde frangenti che arrivano dal largo cariche di troppe buste di plastica. Perlustriamo la spiaggia in lungo ed in largo, sia per sincerarci di non aver dimenticato niente durante l’improvviso trasloco notturno e sia per controllare che il mare non abbia depositato a terra qualche nuova preziosa inutilità: Mauro trova una borsa di plastica trasparente con la chiusura lampo ancora perfettamente funzionante, io due legnetti interessanti, una piccola paletta gialla e tre esemplari di pinna nobilis (solo l’ultimo caricato in kayak perché il primo era spezzato a metà ed il secondo sembrava ancora vivo, dato che le due valve si sono richiuse all’istante non appena le ho prese in mano: non è stato facile trovare un luogo adatto sul fondale roccioso quando l’abbiamo rimesso in acqua).
Partiamo tardi anche oggi, quando è scoccato mezzogiorno, e costeggiamo per tentare di rimanere per qualche secondo al riparo dal forte vento contrario. La nostra velocità di crociera diminuisce ad ogni pagaiata e dopo tre ore siamo appena dalla parte opposta della stessa baia. Rinunciamo.
Tanto più che il resto della costa corre bassa e lineare verso nord-ovest, l’identica direzione da cui soffia il Meltemi, che oggi sembra avere intenzione di spazzare via ogni cosa che incontra sul suo cammino.
Non vogliamo ripetere l’errore dei pivelli, abbiamo bisogno di una cala ridossata. L’unica possibilità è questa: l’affollatissima spiaggia di una baia incuneata tra due pronunciati capi rocciosi, stracolma di ombrelloni, giochi d’acqua e musica sparata a tutto volume dagli altoparlanti dei cinque bagni attrezzati, come in una gara spacca-timpani che sappiamo già andrà avanti fino al tramonto. Pazienza. Non vale la pena spaccarsi la schiena controvento. Il mio accenno di epicondilite al gomito sinistro e di epitrocleite al gomito destro ringrazia sentitamente.
Domani dovrò trovare un nuovo equilibrio nella pagaiata…

La nostra veranda sul mare!
Un altro breve tratto di costa interessante...
Di primo mattino siamo (quasi) soli...
Quante cose dimenticheranno sulla spiaggia tutti quei bagnanti?
Prima o poi ci andrò anch'io!
Il mare incantevole della penisola di Kassandra!

Venerdì 20 luglio 2018 – 9° giorno di viaggio
Ormos Paliouri – Nea Fokea (34 km)
Vento NW 5-6 nodi (F2) – mare calmo – 34°C
Lenta risalita della penisola
La spiaggia si riempie sin dal primo mattino. Secondo una strategia militare che Mauro spiega così: serrare a destra per ottimizzare gli spazi. Gli ultimi arrivati, infatti, seguendo tutti (tutti!) lo stesso schema, stendono teli da mare e piantano ombrellini parasole a pochi centimetri dai teli e dagli ombrellini di quelli che li hanno di poco preceduti. Sono quasi tutti turisti slavi, russi e tedeschi, tanto che i menù delle taverne sono tradotti in inglese ed in russo. Anche l’omino che passa avanti e indietro sul bagnasciuga non vende cocco fresco ma krapfen e pannocchie abbrustolite. Quando le due file di bagnanti stanno per accerchiare i nostri due kayak, noi siamo già pronti per fuggire in acqua!
La cala successiva non è così affollata, ma è più esposta al vento.
E’ una lunga lingua di sabbia fine incoronata da una folta pineta sotto cui spuntano roulottes da ogni triangoli d’ombra. Sembra uno dei nostri adorati “campeggi liberi organizzati”, dove chi arriva si sistema nella prima piazzola libera, se la gestisce per l’intera stagione e alla fine la lascia in condizioni di solito migliori, con qualche elemento di arredo sparso qua e là, come girandole ricavate dalle bottiglie di plastica, ghirlande colorate realizzate coi tappi delle bottiglie, decorazioni di legnetti e conchiglie e galleggianti che pendono dai rami o dai recinti improvvisati.
Questo litorale è molto bello, stranamente poco frequentato.
Stiamo quasi per ricrederci sulla insulsa monotonia della penisola, tanto è attraente questo purtroppo breve tratto di costa idilliaca. Termina dopo un paio di chilometri soltanto, quando si apre il piccolo canale di accesso ad un laghetto retrostante, utilizzato come porticciolo naturale per i pescherecci locali e per qualche motoscafo di ridotte dimensioni. La bocca di porto è insabbiata, anche se si intravedono sul fondale dei grandi massi di cemento utilizzati forse per cercare di mantenere l’ingresso pulito ed agibile. Senza risultato, perché il mare ha divelto i blocchi e ha fatto quel che gli viene meglio: il suo corso.
Gli scogli che ricamano la costa poco più a nord sembrano tante pomici giganti, così grigiastri e levigati e porosi. Sono l’unica nota di colore del resto della costa. Per oggi non vedremo nient’altro di interessante.
Salvo un parco divertimenti realizzato nell’acqua bassa con una serie di giochi gonfiabili su cui si accalcano adulti e bambini: mi viene voglia di scendere, pagare il biglietto ed entrare per un paio d’ore, ma Mauro è perentorio. Dobbiamo andare via da questo brutto posto.
E’ demoralizzato e si capisce da come pagaia in maniera quasi meccanica, col solo scopo di andare avanti il più velocemente possibile e di lasciarsi quanto prima alle spalle questo litorale antropizzato e maltrattato.
Passiamo in sequenza una serie di paesini costieri a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro, alcuni talmente affollati e rumorosi che non si riesce neanche a sbarcare, seppure volessimo tentare la sorte. Sembrano però tutti dei paesi-dormitorio, pieni di case-vacanze aperte solo per la stagione estiva. Hanno dei nomi molto belli, Pefkochori, Hanioti, Polychoro, Kallithea e Afytos, ma i nomi sono davvero l’unica cosa bella della costa. Ad un tratto scorgiamo in una cala un poco rientrata una grande struttura in cemento che sulle prime ci sembra una vecchia centrale nucleare dismessa, e che dopo qualche altra pagaiata capiamo essere un doppio albergo a 15 piani a pochi metri dal mare.
Ci sono tre cose che non riusciamo a spiegarci:
1. chi è che autorizza la costruzione di questi manicomi estivi;
2. come sia possibile accalcarsi tutti sulle stessa spiaggia e ridursi ad urlare per scambiare qualche parola col vicino, quando la spiaggia accanto, con la stessa sabbia, lo stesso mare e pure lo stesso sole, è completamente vuota;
3. perché la musica sparata a tutto volume dai disco-bar della costa arriva a schiaffeggiarci anche quanto noi navighiamo a notevole distanza e siamo anche sopravento!
Ce ne andiamo avanti mesti, con queste ed altre domande che ci rimbalzano nella testa vuota, sperando che la penisola di Kassandra finisca presto.
Ma il mare! Il mare del golfo di Kassandra è tutta un’altra storia!
Un mare così è indimenticabile!
Oggi è una tavola di marmo levigato per tutto il mattino, appena increspato da una leggere brezza variabile nel pomeriggio. Un’immensa distesa immota piena di colori e di pesci.
L’acqua è pulita e limpida, il fondale è basso e sabbioso, i colori dominanti sono quelli delle cartoline turistiche: trasparente verso riva, verde acqua poco più in là, turchese quando aumenta la profondità e poi tutte le gradazioni possibili dall’azzurro intenso al blu cobalto quando lo sguardo spazio verso il largo. Un mare che invita a bagnarsi, a restare ore a guardarlo, a perdersi nella sua maestosa grandezza. E’ il mare che cura tutte le ferite, anche quelle ripetute ed imperdonabili che l’uomo ha inferto alla costa.
Ed è un mare pieno di pesci!
Al mattino nuoto per una mezz’ora con un piccolo branco di sette pesciolini d’argento che non si allontano mai dalle mie braccia e che a volte si avvicinano tanto da toccarmi la punta delle dita: hanno tutti una piccola macchia nera sulla punta della pinna dorsale e caudale e si muovono curiosi ed impavidi, come se volessero capire meglio chi c’è dietro la maschera. Al pomeriggio, poi, una sardina in fuga da chissà quale predatore mi atterra sul collo: spaventata io dalla botta improvvisa e tramortita lei dalla collisione aerea, ci mettiamo qualche secondo per capire cosa è davvero successo, mentre lei si dibatte incredula sul mio paraspruzzi come a chiedere lumi sull’accaduto, finché non mi riprendo e la ributto in acqua. Al tramonto, infine, ci godiamo lo spettacolo ripetuto più e più volte di branchi di pesci grandi e grossi impegnati in battute di caccia collettive, con quel loro pinneggiare che fa ribollire l’acqua in superficie, che sott’acqua fa scappare altri pesci e che sull’acqua richiama gabbiani, gabbianelle e berte, tutti accorsi in gran numero e tutti stranamente uniti per partecipare al banchetto.
Deve essere un mare molto pescoso, questo del golfo interno della penisola di Kassandra, a giudicare dalla frequenza degli attacchi di quelli che riconosciamo come piccoli tonni e dei continui cambi di rotta dei gabbiani, sempre pronti a seguire i branchi di acciughe che fanno il pallone.
Ma niente, Mauro è inconsolabile.
Urge una taverna per la cena!

Il mare per fortuna ci conforta!
Risveglio sotto la torre di Nea Fokea...
Il cassonetto affondato...
Le collinette rosse verso Nea Potidea...
L'ingresso da est del canale di Nea Potidea...
Siamo arrivati qui!

Sabato 21 luglio 2018 – 10° giorno di viaggio
Nea Fokea – Psakoudia (28 km)
Vento WNW 12-15 nodi (F4) – mare poco mosso – 32°C
Fuga dal delirio
La torre del paese controlla il nostro lento risveglio.
Le cose stamattina non vogliono collaborare: non entrano nelle sacche, che non scivolano nei gavoni, che non si chiudono come dovrebbero.
Siamo un po’ stanchi di navigare lungo un litorale così poco interessante.
Abbiamo ormai perso le speranze che la penisola di Kassandra possa riservarci qualche piacevole sorpresa: Mauro continua a chiedersi cosa diavolo siamo venuti a fare quaggiù.
Anche l’acqua oggi è meno attraente, perché i bassi fondali sono macchiati qua e là di scogli rivestiti di alghe e di vaste praterie di posidonia, perdendo così quei colori caraibici di ieri per colorarsi a chiazze di un marrone grigiastro oppure di un giallo cinerino poco invitanti. L’unica nota di colore è un cassonetto dell’immondizia ricoperto di murales affondato chissà come nel mare basso verso riva: ne avevamo notati altri lungo il percorso, accartocciati sulle scogliere oppure adagiati pigramente sulle spiagge più remote. Questo immerso merita una foto ricordo.
Mauro rimpiange le Cicladi, anche per le taverne, io mi sforzo di trovare qualche nota positiva lungo il tragitto: la spiaggia stretta, chiusa tra le fitte pinete ed il mare verde smeraldo, è ricoperta di grossi tronchi portati dalla corrente e alcuni risaltano per biancore ed intreccio dei rami. Scovo tra le canne anche tre palloni gonfiabili a spicchi bianchi e arancioni, ma Mauro è inflessibile: andiamo via da qui!
Fino al canale di Nea Potidea, dove ci siamo già affacciati la settimana scorsa prima di iniziare la circumnavigazione della penisola, ci sono solo le collinette di arenaria rossa che già avevamo visto sull’altro versante. Qui sono molto più maltrattate: per garantirsi un accesso diretto al mare, i proprietari delle villette costruire sulla sommità non hanno esitato a realizzare ripidi scaloni di cemento poggiati sulla terra friabile e franosa della collinetta stessa. Il mare ancora una volta ha fatto il suo corso, aiutato dal vento e dalla pioggia: tutte (tutte!) le scalinate sono precipitate in acqua, lasciando alcuni monconi a penzolare tra le radici aeree della macchia mediterranea, aspettando il momento giusto per cadere giù, trascinandosi dietro anche qualche pezzo di recinzione.
L’unico tratto ben conservato è quello destinato all’impianto di depurazione.
Dopo la brevissima sosta nei pressi del canale ci rimettiamo mesti in kayak, timorosi di affrontare i prossimi stabilimenti balneari che urlano nel vento le loro musiche assordanti. Il golfo di Kassandra si chiude su una lunga serie di spiagge sabbiose e ad eccezione di uno sparuto gruppo di eucaliptus sembra proprio che non riservi nient’altro di interessante.
Invece di costeggiare e mangiare polvere, decidiamo di traversare e respirare salsedine. Puntiamo l’altro versante del golfo, seguendo i piccoli frangenti ravvicinati generati dal vento che rinforza proprio a mezzogiorno: il Meltemi oggi soffia da ovest e noi viriamo le prue ad est, così da attraversare tutto il golfo senza sforzo apparente.
Ci voleva proprio una rigenerante pagaiata in mare aperto!
Dopo 3 ore e 18 chilometri sbarchiamo a Sitonia, il secondo dito della penisola calcidica: in meno di mezz’ora siamo già pronti per mettere di nuovo i piedi sotto al tavolo di una taverna, nostra ultima consolazione!