Mendi Kallanda – Agios
Nikolaos (33 km )
Vento variabile, NW 12-14
nodi (F4) al mattino e SW 4-5 nodi (F2) al pomeriggio – mare poco mosso – 32°C
Doppiamo il capo della
prima penisola
La spiaggia su cui abbiamo
trascorso la notte è talmente bella che facciamo fatica a lasciarla: la tenda
sistemata all’ombra delle fronde basse ed ampie di un incredibile esemplare di
pino marittimo, i kayak adagiati sulla sabbia fine e chiara, la maschera
dimenticata dopo la nuotata del mattino sui ciottolini policromi della
battigia. Nessuno intorno, solo un paio di ombrellini para-sole in lontananza e
qualche raro bagnante che passeggia sulla riva, a debita distanza di sicurezza
dal nostro campo.
Ce ne saranno altri, di
posti così incantevoli, lungo la penisola?
Mauro ieri si era un po’
scoraggiato, dopo quell'interminabile sequenza di case-vacanze e bagni
attrezzati disseminati senza soluzione di continuità lungo la costa. Quando
abbiamo scovato questo angolino isolato non c’è sembrato vero. Anche per questo
è difficile separarcene…
Partiamo col nostro solito
ritmo lento, alle undici del mattino, quando il vento ha rinforzato da un paio
d’ore e sembra invitarci a prendere il mare ogni volta che un’onda più decisa
delle altre riveste di schiuma bianca la sua crestina arricciolata. Ci facciamo
pregare ma poi ci godiamo la giornata di navigazione: per tutta la mattinata,
fino alla sosta delle due del pomeriggio, infatti, pagaiamo col vento a favore,
sfruttando al meglio le tante onde irregolari, discontinue e nervose che
circondano i kayak.
La costa è ancora lineare
e bassa, con una dorsale di colline verdi punteggiate di casette sparse dai
tetti di tegole rosse. La strada asfaltata corre sul mare, talvolta così
ravvicinata da avere bisogno di mura di contenimento appoggiate sull’acqua: si
aggiungono a quelle di cemento costruite per proteggere le casette a schiera e
gli stabilimenti balneari.
E niente ci fa supporre
che il paesaggio possa cambiare.
Almeno fino a Loutra, un
piccolo villaggio turistico in cui la diga foranea di massi scuri è stata
realizzata per difendere non il porto bensì la spiaggia, sempre piena di
ombrelloni di paglia disposti in strette file parallele.
Poco oltre, però, si apre
un piccolo anfratto nascosto tra alcuni scogli lavorati dal mare, dalla curiosa
forma di carciofi che spuntano dall’acqua cristallina e che ci fanno sperare in
un qualche cambiamento.
Dietro il capo poco pronunciato
troviamo una serie di idilliache spiagge incastonate tra scogli argentati, tutti
scavati come denti di cane, con tante piccole grotte e passaggi inaccessibili
che li separano dal fondale. Tiriamo i kayak in secca per una mezz’ora tra rigogliose
piante di capperi e distese di finocchio marino. Ciottoli rossi, verdi e gialli
spuntano tra la sabbia.
Il paesaggio comincia
finalmente a farsi interessante.
Dopo qualche altro
chilometro incontriamo persino uno scoglio (l’unico, purtroppo!) che da lontano
ha un inconfondibile profilo di rana gigante, da vicino prende invece la forma
di un bel camaleonte, e visto poi dall’altro lato si trasforma in un asinello.
La strada corre adesso
nell’interno e tra le pinete lussureggianti si intravede soltanto uno sterrato.
Le cale sono deserte e disabitate, solo una o due villette si nascondono sotto
la folta macchia mediterranea, nessuno a terra o in mare. Ed è così per qualche
ora, con sentiti ringraziamenti da parte di Mauro, che cominciava a disperare.
Ci concediamo un’altra
breve sosta su una caletta di pietre scure dimenticata da tutti, inaccessibile
da terra e raggiunta solo da qualche rara onda, che ha depositato nel tempo una
formina verde dalle sembianze di un gamberetto, una bella radice tozza e forata
e qualche riccio rosso.
Dopo aver riposto nel
gavone i miei preziosi ritrovamenti, decidiamo di affrontare l’ultimo tratto di
costa, quello del capo più meridionale della penisola, Akrotiri Paliori,
sormontato da un lilliput-faro sul suo piccolo traliccio di acciaio dipinto di
bianco. Alcuni gabbiani silenziosi osservano il nostro passaggio lento e
circospetto, ora che il vento si è alzato in direzione contraria, tra gli
scogli che occupano la punta e le evidenti correnti di marea che si incrociano
poco al largo. Nel risalire la costa rocciosa e dirupata, ormai tutta in ombra,
ci sorprende il gran numero di piccole insenature che si aprono sull’ultima
propaggine della penisola di Kassandra: sembra che un capo soltanto non sia
sufficiente a dirne l’importanza e qualcuno si sia divertito a mettercene tre o
quattro in più, uno ogni 500
metri circa. Dopo un’altra corposa corrente di marea
disegnata in superficie su un basso fondale roccioso, viriamo le prue dei
nostri due Voyager nell’ampio golfo di Agios Nikolaos, al cui centro campeggia,
su una penisola bassa, lunga e stretta, l’omonima cappella bianca con
giardinetto d’ordinanza.
Sbarchiamo lì vicino e ci
godiamo il tramonto.
Il campo più bello! |
La costa sembra farsi interessante,,, |
L'unica roccia degna di nota... |
Verso il capo meridionale della penisola di Kassandra... |
La piccola corrente sul capo... |
Il tramonto ad Agios Nikolaos |
Giovedì 19 luglio 2018 –
8° giorno di viaggio
Agios Nikolaos – Ormos
Paliouri (9 km )
Vento NW 18-22 nodi (F5) –
mare poco mosso – 33°C
Veranda sul mare
Alle quattro del mattino
Mauro mi chiama.
Una bottiglia di plastica
ha bussato alla nostra tenda.
Il mare è cresciuto così
tanto da arrivare a lambire i materassini.
Dobbiamo spostare il campo:
alle quattro e venti abbiamo già portato i kayak sul prato vicino e la tenda
sulla veranda della casetta bianca oltre il primo ed unico tornante della
strada sterrata che corre verso il paese nella cala successiva. L’aurora inizia
a schiarire i contorni della baia ma noi riusciamo a dormire altre quattro ore
piene, al riparo dal vento e all’ombra della veranda dell’ultima casa della
penisola di Kassandra.
Ieri abbiamo fatto molta
fatica a controllare le previsioni meteorologiche. Non potevamo quindi sapere
che il Meltemi si sarebbe svegliato a mezzanotte. Per prima cosa stamattina
guardiamo tre siti diversi, per non correre nuovamente il rischio di fare un
risveglio da pivelli.
Il mare è sempre agitato,
ingrossato da onde frangenti che arrivano dal largo cariche di troppe buste di
plastica. Perlustriamo la spiaggia in lungo ed in largo, sia per sincerarci di
non aver dimenticato niente durante l’improvviso trasloco notturno e sia per
controllare che il mare non abbia depositato a terra qualche nuova preziosa
inutilità: Mauro trova una borsa di plastica trasparente con la chiusura lampo
ancora perfettamente funzionante, io due legnetti interessanti, una piccola
paletta gialla e tre esemplari di pinna nobilis (solo l’ultimo caricato in
kayak perché il primo era spezzato a metà ed il secondo sembrava ancora vivo,
dato che le due valve si sono richiuse all’istante non appena le ho prese in
mano: non è stato facile trovare un luogo adatto sul fondale roccioso quando
l’abbiamo rimesso in acqua).
Partiamo tardi anche oggi,
quando è scoccato mezzogiorno, e costeggiamo per tentare di rimanere per
qualche secondo al riparo dal forte vento contrario. La nostra velocità di
crociera diminuisce ad ogni pagaiata e dopo tre ore siamo appena dalla parte
opposta della stessa baia. Rinunciamo.
Tanto più che il resto
della costa corre bassa e lineare verso nord-ovest, l’identica direzione da cui
soffia il Meltemi, che oggi sembra avere intenzione di spazzare via ogni cosa
che incontra sul suo cammino.
Non vogliamo ripetere
l’errore dei pivelli, abbiamo bisogno di una cala ridossata. L’unica
possibilità è questa: l’affollatissima spiaggia di una baia incuneata tra due
pronunciati capi rocciosi, stracolma di ombrelloni, giochi d’acqua e musica
sparata a tutto volume dagli altoparlanti dei cinque bagni attrezzati, come in
una gara spacca-timpani che sappiamo già andrà avanti fino al tramonto.
Pazienza. Non vale la pena spaccarsi la schiena controvento. Il mio accenno di
epicondilite al gomito sinistro e di epitrocleite al gomito destro ringrazia
sentitamente.
Domani dovrò trovare un
nuovo equilibrio nella pagaiata…
La nostra veranda sul mare! |
Un altro breve tratto di costa interessante... |
Di primo mattino siamo (quasi) soli... |
Quante cose dimenticheranno sulla spiaggia tutti quei bagnanti? |
Prima o poi ci andrò anch'io! |
Il mare incantevole della penisola di Kassandra! |
Venerdì 20 luglio 2018 –
9° giorno di viaggio
Ormos Paliouri – Nea Fokea
(34 km )
Vento NW 5-6 nodi (F2) –
mare calmo – 34°C
Lenta risalita della
penisola
La spiaggia si riempie sin
dal primo mattino. Secondo una strategia militare che Mauro spiega così:
serrare a destra per ottimizzare gli spazi. Gli ultimi arrivati, infatti,
seguendo tutti (tutti!) lo stesso schema, stendono teli da mare e piantano
ombrellini parasole a pochi centimetri dai teli e dagli ombrellini di quelli
che li hanno di poco preceduti. Sono quasi tutti turisti slavi, russi e
tedeschi, tanto che i menù delle taverne sono tradotti in inglese ed in russo.
Anche l’omino che passa avanti e indietro sul bagnasciuga non vende cocco
fresco ma krapfen e pannocchie abbrustolite. Quando le due file di bagnanti
stanno per accerchiare i nostri due kayak, noi siamo già pronti per fuggire in
acqua!
La cala successiva non è
così affollata, ma è più esposta al vento.
E’ una lunga lingua di
sabbia fine incoronata da una folta pineta sotto cui spuntano roulottes da ogni
triangoli d’ombra. Sembra uno dei nostri adorati “campeggi liberi organizzati”,
dove chi arriva si sistema nella prima piazzola libera, se la gestisce per
l’intera stagione e alla fine la lascia in condizioni di solito migliori, con
qualche elemento di arredo sparso qua e là, come girandole ricavate dalle
bottiglie di plastica, ghirlande colorate realizzate coi tappi delle bottiglie,
decorazioni di legnetti e conchiglie e galleggianti che pendono dai rami o dai
recinti improvvisati.
Questo litorale è molto
bello, stranamente poco frequentato.
Stiamo quasi per
ricrederci sulla insulsa monotonia della penisola, tanto è attraente questo
purtroppo breve tratto di costa idilliaca. Termina dopo un paio di chilometri
soltanto, quando si apre il piccolo canale di accesso ad un laghetto
retrostante, utilizzato come porticciolo naturale per i pescherecci locali e
per qualche motoscafo di ridotte dimensioni. La bocca di porto è insabbiata,
anche se si intravedono sul fondale dei grandi massi di cemento utilizzati
forse per cercare di mantenere l’ingresso pulito ed agibile. Senza risultato,
perché il mare ha divelto i blocchi e ha fatto quel che gli viene meglio: il
suo corso.
Gli scogli che ricamano la
costa poco più a nord sembrano tante pomici giganti, così grigiastri e levigati
e porosi. Sono l’unica nota di colore del resto della costa. Per oggi non
vedremo nient’altro di interessante.
Salvo un parco
divertimenti realizzato nell’acqua bassa con una serie di giochi gonfiabili su
cui si accalcano adulti e bambini: mi viene voglia di scendere, pagare il
biglietto ed entrare per un paio d’ore, ma Mauro è perentorio. Dobbiamo andare
via da questo brutto posto.
E’ demoralizzato e si
capisce da come pagaia in maniera quasi meccanica, col solo scopo di andare
avanti il più velocemente possibile e di lasciarsi quanto prima alle spalle
questo litorale antropizzato e maltrattato.
Passiamo in sequenza una
serie di paesini costieri a pochi chilometri di distanza l’uno dall’altro,
alcuni talmente affollati e rumorosi che non si riesce neanche a sbarcare,
seppure volessimo tentare la sorte. Sembrano però tutti dei paesi-dormitorio,
pieni di case-vacanze aperte solo per la stagione estiva. Hanno dei nomi molto
belli, Pefkochori, Hanioti, Polychoro, Kallithea e Afytos, ma i nomi sono
davvero l’unica cosa bella della costa. Ad un tratto scorgiamo in una cala un
poco rientrata una grande struttura in cemento che sulle prime ci sembra una
vecchia centrale nucleare dismessa, e che dopo qualche altra pagaiata capiamo
essere un doppio albergo a 15 piani a pochi metri dal mare.
Ci sono tre cose che non
riusciamo a spiegarci:
1. chi è che autorizza la
costruzione di questi manicomi estivi;
2. come sia possibile
accalcarsi tutti sulle stessa spiaggia e ridursi ad urlare per scambiare qualche
parola col vicino, quando la spiaggia accanto, con la stessa sabbia, lo stesso
mare e pure lo stesso sole, è completamente vuota;
3. perché la musica
sparata a tutto volume dai disco-bar della costa arriva a schiaffeggiarci anche
quanto noi navighiamo a notevole distanza e siamo anche sopravento!
Ce ne andiamo avanti
mesti, con queste ed altre domande che ci rimbalzano nella testa vuota,
sperando che la penisola di Kassandra finisca presto.
Ma
il mare! Il mare del golfo di Kassandra è tutta un’altra storia!
Un mare così è
indimenticabile!
Oggi è una tavola di marmo
levigato per tutto il mattino, appena increspato da una leggere brezza
variabile nel pomeriggio. Un’immensa distesa immota piena di colori e di pesci.
L’acqua è pulita e
limpida, il fondale è basso e sabbioso, i colori dominanti sono quelli delle
cartoline turistiche: trasparente verso riva, verde acqua poco più in là,
turchese quando aumenta la profondità e poi tutte le gradazioni possibili
dall’azzurro intenso al blu cobalto quando lo sguardo spazio verso il largo. Un
mare che invita a bagnarsi, a restare ore a guardarlo, a perdersi nella sua
maestosa grandezza. E’ il mare che cura tutte le ferite, anche quelle ripetute
ed imperdonabili che l’uomo ha inferto alla costa.
Ed è un mare pieno di
pesci!
Al mattino nuoto per una
mezz’ora con un piccolo branco di sette pesciolini d’argento che non si allontano
mai dalle mie braccia e che a volte si avvicinano tanto da toccarmi la punta
delle dita: hanno tutti una piccola macchia nera sulla punta della pinna
dorsale e caudale e si muovono curiosi ed impavidi, come se volessero capire
meglio chi c’è dietro la maschera. Al pomeriggio, poi, una sardina in fuga da
chissà quale predatore mi atterra sul collo: spaventata io dalla botta
improvvisa e tramortita lei dalla collisione aerea, ci mettiamo qualche secondo
per capire cosa è davvero successo, mentre lei si dibatte incredula sul mio
paraspruzzi come a chiedere lumi sull’accaduto, finché non mi riprendo e la
ributto in acqua. Al tramonto, infine, ci godiamo lo spettacolo ripetuto più e
più volte di branchi di pesci grandi e grossi impegnati in battute di caccia
collettive, con quel loro pinneggiare che fa ribollire l’acqua in superficie, che
sott’acqua fa scappare altri pesci e che sull’acqua richiama gabbiani,
gabbianelle e berte, tutti accorsi in gran numero e tutti stranamente uniti per
partecipare al banchetto.
Deve essere un mare molto
pescoso, questo del golfo interno della penisola di Kassandra, a giudicare dalla
frequenza degli attacchi di quelli che riconosciamo come piccoli tonni e dei
continui cambi di rotta dei gabbiani, sempre pronti a seguire i branchi di
acciughe che fanno il pallone.
Ma niente, Mauro è
inconsolabile.
Urge una taverna per la
cena!
Il mare per fortuna ci conforta! |
Risveglio sotto la torre di Nea Fokea... |
Il cassonetto affondato... |
Le collinette rosse verso Nea Potidea... |
L'ingresso da est del canale di Nea Potidea... |
Siamo arrivati qui! |
Sabato 21 luglio 2018 –
10° giorno di viaggio
Nea Fokea – Psakoudia (28 km )
Vento WNW 12-15 nodi (F4)
– mare poco mosso – 32°C
Fuga dal delirio
La torre del paese
controlla il nostro lento risveglio.
Le cose stamattina non
vogliono collaborare: non entrano nelle sacche, che non scivolano nei gavoni,
che non si chiudono come dovrebbero.
Siamo un po’ stanchi di
navigare lungo un litorale così poco interessante.
Abbiamo ormai perso le
speranze che la penisola di Kassandra possa riservarci qualche piacevole
sorpresa: Mauro continua a chiedersi cosa diavolo siamo venuti a fare quaggiù.
Anche l’acqua oggi è meno
attraente, perché i bassi fondali sono macchiati qua e là di scogli rivestiti
di alghe e di vaste praterie di posidonia, perdendo così quei colori caraibici di
ieri per colorarsi a chiazze di un marrone grigiastro oppure di un giallo
cinerino poco invitanti. L’unica nota di colore è un cassonetto dell’immondizia
ricoperto di murales affondato chissà come nel mare basso verso riva: ne
avevamo notati altri lungo il percorso, accartocciati sulle scogliere oppure
adagiati pigramente sulle spiagge più remote. Questo immerso merita una foto
ricordo.
Mauro rimpiange le
Cicladi, anche per le taverne, io mi sforzo di trovare qualche nota positiva
lungo il tragitto: la spiaggia stretta, chiusa tra le fitte pinete ed il mare
verde smeraldo, è ricoperta di grossi tronchi portati dalla corrente e alcuni
risaltano per biancore ed intreccio dei rami. Scovo tra le canne anche tre
palloni gonfiabili a spicchi bianchi e arancioni, ma Mauro è inflessibile:
andiamo via da qui!
Fino al canale di Nea
Potidea, dove ci siamo già affacciati la settimana scorsa prima di iniziare la
circumnavigazione della penisola, ci sono solo le collinette di arenaria rossa
che già avevamo visto sull’altro versante. Qui sono molto più maltrattate: per
garantirsi un accesso diretto al mare, i proprietari delle villette costruire
sulla sommità non hanno esitato a realizzare ripidi scaloni di cemento poggiati
sulla terra friabile e franosa della collinetta stessa. Il mare ancora una
volta ha fatto il suo corso, aiutato dal vento e dalla pioggia: tutte (tutte!)
le scalinate sono precipitate in acqua, lasciando alcuni monconi a penzolare
tra le radici aeree della macchia mediterranea, aspettando il momento giusto
per cadere giù, trascinandosi dietro anche qualche pezzo di recinzione.
L’unico tratto ben
conservato è quello destinato all’impianto di depurazione.
Dopo la brevissima sosta
nei pressi del canale ci rimettiamo mesti in kayak, timorosi di affrontare i
prossimi stabilimenti balneari che urlano nel vento le loro musiche assordanti.
Il golfo di Kassandra si chiude su una lunga serie di spiagge sabbiose e ad
eccezione di uno sparuto gruppo di eucaliptus sembra proprio che non riservi
nient’altro di interessante.
Invece di costeggiare e
mangiare polvere, decidiamo di traversare e respirare salsedine. Puntiamo
l’altro versante del golfo, seguendo i piccoli frangenti ravvicinati generati
dal vento che rinforza proprio a mezzogiorno: il Meltemi oggi soffia da ovest e
noi viriamo le prue ad est, così da attraversare tutto il golfo senza sforzo
apparente.
Ci voleva proprio una
rigenerante pagaiata in mare aperto!
Dopo 3 ore e 18 chilometri
sbarchiamo a Sitonia, il secondo dito della penisola calcidica: in meno di
mezz’ora siamo già pronti per mettere di nuovo i piedi sotto al tavolo di una taverna,
nostra ultima consolazione!
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