SUMMER OPEN SEA KAYAK EXPEDITION...

... un altro viaggio in Grecia... là dove nasce il Meltemi...
partiremo da Salonicco e costeggeremo la penisola della Calcidica, sperando di poter navigare anche intorno alla repubblica monastica del Monte Athos. Poi sarà la volta delle isole Thasos, Samothraki e Limnos.
Per noi è un viaggio aperto, sia per il tempo a disposizione che per altri kayaker che si vorranno unire a noi.
Partiremo ai primi di luglio e contiamo di finire entro agosto. Controllando la posizione che regolarmente pubblicheremo
sul blog e su Facebook, sarà possibile raggiungerci in ogni momento per far parte della squadra.
Tatiana e Mauro

Please use the translator on the left.
We're paddling most of the day and we don't have enough time to translate every single post...
We're confident you understand our position!

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
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mercoledì 22 agosto 2018

Che fatica chiudere il periplo di Limnos!

Domenica 19 agosto 2018 – 39° giorno di viaggio
Moudros – Paralia Fakos (26 km)
Vento NE 20-25 nodi (F5-6) – mare mosso – 28°C
Giornata Rock & Roll
Dormire in porto ha i suoi vantaggi: la comodità di fare rifornimento di acqua e viveri, di sedersi in taverna ad ammirare il tramonto, di fare due passi sul molo per guardare le luci delle barche all’àncora e delle stelle in cielo. Ma ha anche degli innegabili svantaggi: le auto che passano avanti e indietro, le voci delle famigliole riunite sulla diga foranea per pescare sul far della notte oppure sul far del giorno, le varie bestiole che vivono nei paraggi e che col buio danno vita ad un concerto di ululati di cani, canti di galli e ragli di asini. Riuscire a dormire in porto a volte è davvero difficile.
Per riprendermi dalla notte travagliata convinco Mauro, senza fare grandi fatiche per la verità, ad andare al nostro “solito” bar per consumare la prima colazione che, a dispetto del programma di navigazione che sappiamo ci attende appena fuori dal porto, scegliamo abbondante, calorica e zuccherosa: due crepes al cioccolato con contorno di gelato banana e cioccolato più due caffè frappè glikò me gala.
Non ci attardiamo, però, come è nostro solito perché oggi abbiamo intenzione di visitare il Museo delle spugne e delle tradizioni marinare di Nea Koutali, nel centro della cittadina che si intravede dall’altra parte del golfo di Moudros, ad appena sei chilometri dal nostro campo.
Mentre Mauro finisce di riporre le ultime sacche stagne nel gavone ed io sono accucciata sulla riva tutta presa dalle mie cose (cercare conchiglie, cos’altro sennò?!) si avvicina ai due Voyager un’auto della Guardia Costiera greca. Scende un militare giovane che con fare deciso si infila il berretto sulla testa e a grandi falcate raggiunge i kayak. Noi pensiamo subito: “Siamo fritti!”. La sfilza di domande è serrata e direttamente in inglese: di dove siete, dove andate, avete il VHF, conoscete il numero della Capitaneria di porto, sapete che oggi ci sono venti Forza 7 Beaufort? Alle sue domande noi ci rilassiamo e alle nostre risposte anche lui sembra rilassarsi, ma ci fa scrivere il numero di telefono della Guardia Costiera e ci ripete tre volte il canale VHF da usare in caso di emergenza. E ci guarda dritto negli occhi quando dice ancora una volta: “Oggi ci sono venti forti, Beaufort 7, non qui nel golfo ma tutto intorno all’isola”. E quando noi lo tranquillizziamo spiegando che abbiamo intenzione di raggiungere Nea Koutali, lui risponde pacato: “Well, be careful”. Non gli diciamo certo che è nostra intenzione proseguire anche fuori dal golfo di Moudros per spingerci oltre la penisola di Fakos, confidando sul fatto che nel pomeriggio il vento di solito cala leggermente: sarebbe come dirgli che lo sappiamo bene che tutto intorno all’isola ci sono venti forti, ma noi è proprio là che vogliamo andare, dove soffiano i venti forti.
Abbiamo avuto l’impressione che fosse profondamente preoccupato per le condizioni del mare e per la nostra sicurezza, ma anche sinceramente ammirato dalle nostre piccole imbarcazioni. Ci sembra che tutti abbiamo un certo rispetto per la gente di mare, qui in Grecia, e anche la Guardia Costiera si comporta di conseguenza, limitandosi a dare consigli e a fornire numeri utili, ma senza sognarsi di imporre divieti o limiti di sorta. La visita del mattino, comunque, ci lascia addosso una certa inquietudine.
Il mare visto dal porto di Moudros non sembra poi così brutto. Certo il golfo è pieno di ochette che si rincorrono sempre più velocemente, ma le raffiche del Meltemi non paiono poi così aggressive, non ancora almeno, anche se sono già chiaramente liberate in un evidente Forza 5.
Controlliamo di nuovo le previsioni meteorologiche, per essere sicuri di non infilarci in qualche guaio e soprattutto di non dovere essere costretti a chiamare il numero di emergenza della Guardia Costiera, che sotto lo sguardo vigile del nostro milite abbiamo trascritto sulla tavoletta degli appunti che sempre tengo fissata sul ponte anteriore del mio kayak. Il Meltemi è dato in aumento rispetto alle giornate passate e ci conferma che abbiamo fatto la scelta migliore ad allungare un poco le nostre ultime tappe per riuscire a raggiungere il porto di Moudros. Il vento è previsto intorno ai 20 nodi, con raffiche in aumento proprio qui a Moudros perché si incanalano nelle vallate che abbracciano il golfo e scendono potenti verso il mare, che in effetti è ben presto battuto da ripetute folate che prendono a far ululare le sartie degli alberi delle vele attraccate al molo e far piegare gli alberelli di tamerici dietro i quali abbiamo protetto la nostra tendina durante la notte. Non ci pare comunque che siano condizioni proibitive per andare in kayak dall’altra parte del golfo.
E così partiamo.
Alle undici e quaranta siamo in acqua, costeggiamo la diga foranea del porto e puntiamo oltre il paese, per risalire un tratto di costa verso nord ed affrontare la traversata da una angolazione migliore: dobbiamo spostarci da est ad ovest, dalla città di Moudros, accoccolata sul versante orientale dell’ampio golfo interno che prende il suo nome, alla più piccola cittadina di Nea Koutali, costruita sull’opposto versante occidentale di questo ampio porto naturale che ora è solcato soltanto dai nostri due piccoli kayak. Il vento spira da nord, così in traversata ce lo ritroviamo al traverso destro: impostiamo subito la rotta, puntando le prue a nord-est per compensare lo scarroccio, e tagliamo tutto il golfo in un’ora esatta, con un perfetto traghetto laterale che una volta rivisto sullo schermo del GPS ci lascia una certa soddisfazione.
L’unica difficoltà è stata la bomba calorica della prima colazione, difficile da digerire durante la traversata nel vento. Ma niente di più.
Arriviamo davanti all’ingresso del piccolo Museo delle spugne di Nea Koutali mezz’ora prima che chiuda i battenti. La signora alla cassa è molto gentile e dopo averci dato i biglietti del costo di appena 2€ a persona ci lascia intendere che abbiamo tutto il tempo che vogliamo, tanto lei abita a due passi da qui. Ce la prendiamo comoda e scattiamo un’infinità di foto, perché questa stanza ricolma di reperti archeologici, anfore di epoca greco-romana e strumenti di lavoro della tradizione marinara è davvero un piccolo gioiello che merita una visita attenta: voluto negli anni Novanta del secolo scorso dal direttore della scuola elementare, ha ricevuto sin dall’inizio il sostegno dell’intera popolazione locale, che ha fornito non solo materiale fotografico ma anche racconti, ricordi e pezzi ereditati dai nonni marinai e diventati patrimonio di famiglia, ma comunque volentieri ceduti al museo che in breve tempo è divenuto l’orgoglio del posto.
Il nome del paese racconta la sua storia: Koutali era l’isola del Mar Nero dalla quale sono stati cacciati i greci dopo la crisi dell’Asia Minore del 1922, quando le relazioni tra Grecia e Turchia hanno toccato il punto più nero della storia tra questi due paesi vicini e lontani, entrambi ponte tra Oriente ed Occidente e che hanno a lungo rimescolato i propri confini; i profughi che sono stati così fortunati da salvare le loro poche cose e da raggiungere in barca a remi l’isola di Limnos, antesignani di ben altre migrazioni che ancora interessano il Mar Egeo ed il Mar Mediterraneo, hanno fondato la città di Nea Koutali e hanno subito ripreso le loro professioni: la raccolta delle spugne dal fondo del mare e la loro commercializzazione in tutta Europa. Accanto ad alcuni magnifici esemplari di spugne di varia qualità, nel museo sono stati esposti anche gli strumenti utilizzati al tempo per la pesca e la pulizia delle spugne: lo scafandro dei palombari, i macchinari per la compressione dell’aria, i ciocchi di legno su cui venivano battute le spugne ancora bagnate per eliminare incrostazioni e microrganismi, poi le presse nelle quali venivano passate per togliere anche le più piccole impurità e anche le grandi forbici con cui le donne davano una forma attraente alle spugne pronte per la spedizione e la vendita (ed io che ho sempre considerato le spugne così fragili e delicate!). Tante foto d’epoca corredano l’esposizione e per qualche momento si rivive vivida l’atmosfera di quel tempo lontano. Altro dato notevole è che un così piccolo ma interessante museo sia stato fortemente voluto e realizzato in questo altrimenti dimenticato paesino dell’isola, rifugio per rifugiati che in questa estate di battaglie civili per la nostra amata Riace calabra ci ricorda come la storia sia sempre pronta a ripetersi…   
Usciamo al sole e all’afa con la certezza di avere fatto bene a venire fin qua. Nea Koutali ed il suo Museo delle spugne valgono il viaggio a Limnos.
Prima di rimetterci in kayak, però, ci concediamo una sosta all’unica taverna del posto per bere una birra ed una limonata fresche.
Le previsioni dicono che il Meltemi dovrebbe calare dopo le tre del pomeriggio, e noi aspettiamo fino alle quattro per essere sicuri di non essere travolti dalle sue raffiche.
Non sappiamo ancora che sarà una giornata rock & roll.
Là fuori ci aspetta un mare mosso come non mai, e soprattutto una navigazione impegnativa che ci porta prima a sud, poi ad est e poi ancora ad ovest, coprendo quasi tutte le direzioni possibili in appena tre ore di pagaiata. Non lo possiamo sapere perché uscendo dal porticciolo di Nea Koutali il vento sembra davvero calato molto e le raffiche sono del tutto scomparse: raggiungere la piccola isoletta di Trypiti, di fronte alla chiesetta di Aghios Nikolaos, costruita su uno scoglio collegato all’isola madre con una passerella di scogli ben levigata, sembra proprio una passeggiata facile facile. Non ci sembra niente di speciale neanche superare il capo di Pounda che chiude il canale navigabile di ingresso nel golfo di Moudros: salutiamo così quella specie di trullo in pietra che è stato eretto sulla sua estremità (chissà se aveva o meno qualche significato particolare per la navigazione locale) e puntiamo decisi verso l’esterno del golfo, ritrovandoci subito a costeggiare la bassa ed allungata isola di Alogonissi, circondata di secche e bassi fondali che le varie onde frangenti gonfiate dal Meltemi rendono alquanto difficili da distinguere, perché adesso ovunque ci sono spruzzi bianchi che ricoprono il mare. Ed i nostri due kayak.
Capiamo che il Meltemi è ancora lì fuori ad attenderci quando doppiamo il lilliput-faro di Capo Sagrada, e senza più nessun tipo di protezione della costa, per quanto bassa ma pur sempre vicina, ci ritroviamo sospinti verso il largo dal vento in poppa che ci fa filare a quattro nodi pieni. Una velocità stratosferica per le nostre abitudini, che ci regala una scarica di adrenalina che aspettavamo da tempo e che mai prima ci era toccata in sorte durante questo viaggio nel Norg Egeo. Capiamo anche il motivo per cui si dice che il Meltemi nasce proprio nel Norg Egeo: qui diventa tutto bianco non appena il vento tocca il mare e le folate sono così repentine ed aggressive che spesso l’acqua viene nebulizzata e sparata nel cielo come fosse stato accesso un grandissimo ventilatore. Quando vediamo l’acqua nebulizzata sappiamo che il vento ha raggiunto forza sette. Il militare della Guardia Costeira aveva ragione, non aveva esagerato: stiamo navigando in un mare in cui tutte le onde si sfilacciano in lunghe scie bianche.
Ma fino all’isoletta di Kombi, col suo faro in muratura a chiudere il profilo della penisola di Fakos, appena cinque chilometri a sud dall’altro lilliput-faro, ci godiamo le onde di poppa come due bambini al luna park!
E’ quando stiamo per raggiungere l’isoletta che capiamo che qualcosa sta cambiando. La mappa dice che non c’è passaggio di acque libere tra l’isoletta e la penisola, collegate tra loro da una piccola striscia di terra sempre più assottigliata: che però noi non riusciamo ancora a scorgere. Siamo ormai a poche decine di metri dallo stretto ma vediamo solo qualche frangente sparso, niente terra: pensiamo quindi che si possa passare facilmente, magari l’istmo è soltanto un basso fondale che viene segnalato per evitare che ci si incaglino le imbarcazioni a motore, forse in kayak c’è acqua sufficiente per andare oltre. Invece no. Ci sono una serie di scogli affioranti che punteggiano lo stretto braccio di mare tra l’isoletta e la penisola. Non si passa. E lo capiamo quando siamo ormai in balia di un’ampia zona di alti frangenti che ci sballottano a destra e a manca.
Per riprendere la rotta in direzione est dobbiamo virare di ben 90 gradi, cosa non facile tra le onde alte e con la chiglia così pronunciata del Voyager, un kayak di grande direzionalità ma scarsa manovrabilità. Ritiriamo le derive che avevamo calato per cavalcare il mare di poppa e proviamo a risalire i frangenti. Per aggirare l’isoletta, che ha uno sviluppo costiero di poco più di un chilometro, impieghiamo oltre mezz’ora.
E quando siamo finalmente sotto il faro, sulla punta occidentale dell’isoletta, pronti a cambiare nuovamente direzione per andare verso ovest, ecco che il mare cambia completamente di stato e ci riserva un’altra bella sorpresa: le scogliere rocciose dell’isoletta creano una lavatrice notevole, impostata sul programma “lavaggi strofinacci” per accordarsi col vento imperante, e c’è persino una corrente di marea creata dai fondali bassi e stretti racchiusi tra l’isoletta e l’altro vicino scoglio di Kastri, posto in mare aperto ma ad una distanza tale dall’isoletta di Kombi che per qualche lungo minuto crediamo non si possa passare neanche  di qua. Invece qui si passa, ma a costo di grandi fatiche, perché superare la corrente di marea non è cosa facile, anche col vento che adesso soffia di nuovo a favore: la corrente è talmente forte che ci ritroviamo sulla cresta della stessa onda per molte, troppe pagaiate consecutive, e solo quando stiamo per disperare di non riuscire a superare questa prima benedetta onda statica, un’ultima pagaiata più decisa delle altre ci fa uscire dall’empasse. Che si ripresenta pari pari all’onda successiva. Ne dobbiamo affrontare quattro o cinque, di queste corpose onde di marea, per poterci lasciare alle spalle lo stretto tre le due isole. Kombi e Kastri sembrano messe lì apposto per generare correnti sproporzionate.
Finalmente al riparo, pensiamo dopo aver superato il canale occupato dagli scogli nel quale si incanalano forti raffiche di vento, che non si limitano più a sollevare e nebulizzare l’acqua ma generano anche qualche piccolo mulinello sotto la scogliera, effetto dell’incrocio dei venti catabatici che scendono dalle colline verso il mare. Quando si formano i mulinelli sappiamo che il vento ha raggiunto Forza 8. E che il mare sarebbe quello tipico di una burrasca. Ma non lungo la costa, dove proprio le folate di vento forte schiacciano le onde e riducono lo stato del mare. Che però rimane grosso e ruggente. Non siamo ancora al riparo di niente.
Finché non superiamo il capo occidentale della penisola di Fakos le onde e le raffiche ci sommergono, non solo i ponti ma anche i giubbotti, per non parlare degli occhiali che ormai sono completamente appannati per gli spruzzi d’acqua che li hanno ricoperti sia fuori che dentro, tra gli occhi e le lenti. Tanto vale toglierli, anche perché col riverbero del sole calante non riesco più a distinguere la costa. E continuano ad esserci agglomerati di scogli affioranti su ognuno dei vari capi che si susseguono sul versante meridionale della penisola.
La prima spiaggia segnata sulla carta è in realtà un terrapieno creato dalla confluenza di un paio di torrenti stagionali che poi si gettano in mare da scogliere alte qualche decina di metri. Quindi niente spiaggia. Dobbiamo proseguire. Temiamo di dover costeggiare tutto il versante meridionale della penisola fino all’unica altra spiaggia segnata sulla carta e che Mauro ha anche riportato come possibile punto di sbarco sul GPS. Quando finalmente, come un miraggio tra gli spruzzi dei frangenti, si apre una piccola cala con una spiaggia di ciottoli grossi come uova di dinosauro e con scalini alti come quelli degli antichi templi greci. Qui è difficile sbarcare ma non ci pensiamo due volte: viriamo le prue nella baia e dopo qualche secondo siamo al riparo dal vento. Che si incanala ancora con forza nella gola percorsa soltanto dalle capre, ma ci lascia almeno l’agio di cenare e di montare la tenda, anche se costretti in un angolino ricavato tra le alte scogliere della cala. Prima di crollare dal sonno, tramortiti da una giornata epica!

Life: just add water!|
Il vecchio compressore manuale per l'aria dei palombari nel Museo delle spugne di Nea Koutali... 
Alcuni degli esemplari conservati nel museo...
La collezione di anfore del museo di Nea Koutali...
I pesci della fermata dell'autobus vicino alla scuola di Nea Koutali...
Il "trullo" di pietre di Akrotiri Pounda...
Il vento al traverso nei pressi dell'isoletta di Kombi...
Sul versante meridionale della penisola di Fakos...
Lo sbarco "agevole" nella caletta di Fakos...

Lunedì 20 agosto 2018 – 40° giorno di viaggio
Paralia Fakos – Paralia Nevgatis (13 km)
Vento NE 25-30 nodi (F6-7) – mare mosso – 28°C
Fino all’ultimo respiro
Il Voyager si è comportato benissimo ieri e siamo certi che farà ancora meglio pure oggi. E’ un kayak molto affidabile che negli anni abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare sempre di più, non tanto perché l’ha ideato Mauro come kayak dei suoi sogni (e dei suoi studi durati un paio di decenni), ma soprattutto perché è un kayak da lunghe navigazioni che tiene il vento come fosse una nave. La nostra nave di fiducia.
Le previsioni le controlliamo guardando il mare, perché in questa gola dimenticata oggi non c’è più campo sufficiente per accedere ad internet.
Saliamo in kayak prima del solito, che non sono ancora suonate le undici del mattino, nella speranza di battere sul tempo il Meltemi, che ancora non sembra essersi svegliato del tutto: il mare al largo è già rigato di frangenti numerosi e ravvicinati, ma vicino alla costa sembra ancora abbastanza tranquillo. E così è fino al capo. Poi si scatena l’ira del vento.
Abbiamo comunque tutto il tempo di costeggiare la penisola di Fakos e di apprezzare le sue colline arrotondate dal vento e bruciate dal sole, che ospitano appena tre chiesette e qualche ovile per le capre e le pecore semi-selvatiche, le uniche presenze che avvertiamo ed avvistiamo in queste lande dimenticate.
Verso Akrotiri Fakos, però, c’è anche un’altra presenza inquietante, anzi il resto di qualcosa che è stato grande in mare e che ormai da tempo è qui ad arrugginire sugli scogli: il relitto di una vecchia nave da carico riposa appena prima delle scogliere pronunciate del capo e già ieri sera ci aveva fatto intravedere i suoi monconi rossastri che spuntavano tra i frangenti, ma non appena avvistata la nostra caletta di fortuna ci siamo dimenticati all’istante di quelle lamiere accartocciate. Oggi ci ricordano ancora una volta che il mare è un ambiente meraviglioso e vitale ma può diventare pericoloso e mortale se si sottovalutano le sue forze sproporzionate ed invincibili. Ogni relitto ci ripete che il mare non va mai contrastato, solo rispettato ed assecondato.
Noi procediamo con estrema facilità fino ad Akrotiri Aghia Efymia perché tutta la costa è battuta non solo dal Meltemi ma anche da fortissimi raffiche catabatiche che scendono dalle colline tondeggianti: il vento che prima avvolge la penisola e poi corre in mare aperto ci spinge di poppa come a volerci facilitare la pagaiata del mattino.    
Dopo il capo invece è tutta un’altra storia.
Il Meltemi che arriva da nord-est si incanala nella baia di Kondias che si apre davanti ai nostri kayak e raggiunge velocità che non avevamo previsto. Per tutta la mattina ho sperato di poter sbarcare su Paralia Kokkina, la spiaggia rossa, perché un posto a cui danno un nome del genere non può che essere bellissimo: appena oltre il capo, però, capisco che non riusciremo mai a raggiungere Kokkina perché il vento si è impuntato.
Allora decidiamo di traversare il golfo.
Senza ancora allontanarci troppo dalla costa, testiamo la forza del Meltemi, che nelle ore centrali della giornata soffia sempre al massimo della sue potenza. E’ forte quanto dicevano le previsioni ieri, perché oggi non sappiamo bene cosa dicono. Solleva spruzzi in continuazione ma almeno schiaccia le onde, che sembra non superino mai il metro di altezza. Questo è uno dei pochi vantaggi del Meltemi: gonfia il mare al largo ma lo spiana vicino alla costa. A nostro vantaggio.
Quando siamo già ad una buona distanza dall’isoletta di Prasonissi, poco oltre il capo, capiamo di aver sottovalutato il Meltemi: è più forte di quanto pensavamo e le raffiche nel centro del golfo sono davvero aggressive. Avremmo forse dovuto fare una sosta prima di affrontare la traversata, così da lasciare al vento tutto il tempo di calare, oppure dovremmo pensare di cambiare la nostra rotta per scivolare un poco di lato, così da fare meno fatica prendendo onde e vento al mascone destro: ma nel primo caso avremmo dovuto pagaiare controvento per oltre un’ora, e nel secondo dovremmo affrontare una traversata tra due capi distanti almeno cinque chilometri, il che significa sostenere l’assalto del vento che soffia da terra verso il mare aperto, ancora più temibile del solito perché al minimo errore rischi di ritrovarti sull’isola di fronte, ad oltre quindici miglia. Il Meltemi è già un vento abbastanza violento anche pagaiando lungo la costa, non è certo il caso di sfidarlo in mare aperto.
E quindi noi ci ritroviamo a pagaiare per tre ore consecutive controvento.
Per coprire poco più di tre chilometri.
Vogliamo raggiungere la spiaggia di fronte per avere due possibilità: cenare in taverna, che sarà di certo nascosta tra quella distesa di ombrelloni color acqua marina, e visitare il pittoresco paesino di Kondias, rinomato per le sue case di pietra.
Nel bel mezzo del golfo di Kondias, però, quando impieghiamo tutte le nostre forze per contrastare il vento contrario, sopportando gli schiaffi continui dell’acqua e l’assalto costante delle onde che sommergono la prua, quando restiamo concentrati su ogni singola pagaiata nella speranza di risalire qualche altro metro, controllando la superficie del mare e studiando ogni increspatura per sfruttarla a nostro vantaggio, quando ci guardiamo spesso attorno per controllare che non sia aumentata la distanza tra i due kayak, cercando con lo sguardo il guizzo colorato della nostre pagaie ed annotando a mente la nostra rispettiva posizione, ecco che abbiamo l’impressioni di non avanzare neanche di un millimetro. Quegli speroni rocciosi di un bel rosso intenso che si aprono lungo la costa sulla nostra sinistra non sembra che non si siano spostati per niente, sono sempre nello stesso punto. Il che significa che anche noi siamo sempre nello stesso punto. Fortuna che il GPS ci conforta coi suoi numeri: piano, molto piano, ma avanziamo.
Poi capita sempre che il Meltemi ha un momento di cedimento, come a voler prendere fiato prima di sferrare un nuovo assalto. E allora recuperiamo le energie che pensavamo di avere esaurito e la concentrazione che temevamo di avere perduto: e riprendiamo a pagaiare controvento, sapendo di dover continuare a faticare per altre ore.
Dice Mauro che in kayak è sempre così: basta portare pazienza, prima o poi si arriva a destinazione! E allora testa bassa e pazienza, perché tanto la costa presto o tardi si avvicina.
Quando siamo finalmente nei pressi del capo ridossato di Kohlakas, io trovo un corridoio di onde incrociate che mi attraggono verso la costa a gran velocità, o forse è una palla colorata da beach volley che mi richiama tra gli scogli per farsi portare in salvo. L’ultimo chilometro col vento al mascone, che ora ci rende più sopportabile la fatica, me lo faccio con un’altra palla nel pozzetto, ben nascosta sotto il paraspruzzi. Alla sbarco Mauro mi guarda con quel suo sguardo rassegnato, ma già sa che anche questa terza palla trovata in viaggio nel Nord Egeo è destinata ad essere regalata come le altre, stavolta ai bambini che giocano nel vicino stabilimento balneare.
Sistemiamo i kayak al riparo di una tamerice abbastanza grande da fornirci sia un po’ di ombra che un bel riparo dal vento.
Siccome però sono appena le quattro del pomeriggio e noi siamo stanchi ma non troppo, e soprattutto abbiamo una fame da lupi, ci mettiamo in cammino per il paese vicino: Kondias dista appena tre chilometri ed è famoso per essere il paesino più carino e caratteristico di Limnos, con le sue case di mattoni accoccolate tra le uniche due colline dell’isola ricoperte di boschi e di abeti verdeggianti, con la sua vallata affacciata sul mare in cui spiccano prima due o poi ben cinque mulini ben conservati, non più funzionanti ma ristrutturati come caffè&hotel. Noi proseguiamo diretti alla taverna, l’unica aperta in paese.
Restiamo all’ombra della sua veranda per qualche ora, finchè il sole non si fa meno cocente. Poi riprendiamo la via per la spiaggia, dove abbiamo lasciato i nostri kayak a ricoprirsi di sabbia, ed un simpatico signore greco si ferma a darci un passaggio in auto.
Ci fermiamo a prendere una birra ed una limonata nel bar sulla spiaggia e quando al tramonto ritorniamo ai kayak scopriamo che qualche artista del posto ha realizzato delle grandi spirali sulla sabbia e delle belle piramidi coreografiche tutto intorno ai nostri due Voyager. Restiamo ad ammirarle a lungo finchè non cala la notte ed arriva il momento di far riposare le nostre stanche (ma soddisfatte) ossa…

L'imbarco dalla caletta di fortuna nella penisola di Fakos...
Il relitto delle nostre riflessioni...
Controvento, quando ormai era calato: prima, niente foto!
I cinque mulini di pietra del paesino di Kondias...
Io regalo una palla e che trovo: un pesce!
Piramidi e spirali sulla sabbia...
L'ultimo tratto di costa sud-occidentale di Limnos...
L'ultima sosta di fronte alle due isolette di Diavates...

Martedì 21 agosto 2018 – 41° giorno di viaggio
Paralia Nevgatis – Myrina (14 km)
Vento NE 22-25 nodi (F6) – mare mosso – 28°C
L’ultima tappa
Oggi non ci facciamo prendere alla sprovvista.
Il Meltemi non è quasi per niente andato a dormire e già a mezzanotte ha ripreso a soffiare sull’isola, sulla spiaggia e sulla nostra tenda. La tamerice ci protegge a dovere ma al nostro risveglio il mare è già tutto rigato di frangenti che corrono veloci verso il largo. Oggi tergiversiamo.
Non vogliamo vivere un’altra giornata campale. Sarebbe la terza: ci sono già bastate le altre due!
Siccome è l’ultima tappa per chiudere il periplo dell’isola e siccome sappiamo che il nostro traghetto per tornare sulla terraferma parte domani notte, abbiamo tutto il tempo per chiudere il giro.
Ci trasferiamo armi e bagagli nel vicino bar sulla spiaggia che già ieri sera ci ha ospitato a lungo, e dopo due chiacchiere con la simpatica ragazza dietro il banco trascorriamo tutta la mattinata a rimirare i gatti che giocano tra loro, le galline che scorazzano nel cortile antistante, le pecore che vengono munte dal pastore del posto, le tortore che tubano sui fili della luce e le cornacchie che disturbano e che mi ricordano che sono delle ladre.
Dopo la prima colazione e anche dopo il pranzo di mezzogiorno, per una volta consumato con le gambe sotto al tavolo, con una bella insalata greca al posto delle solite barrette di sesamo col miele, ci affacciamo timidi sul mare per vedere se la situazione è cambiata. Non ancora: il Meltemi continua a battere l’immensa distesa blu come fosse un tappeto da ripulire, con forti colpi sferzati ad intervalli regolari che lasciano il mare segnato da tante righe bianche: torniamo a sederci al bar.
Abbiamo sempre qualcosa da fare, quando siamo in viaggio in kayak: se non pagaiamo o lottiamo contro il vento contrario, possiamo leggere, scrivere, chiacchierare tra noi o con altri viaggiatori conosciuti per caso, aggiornare il blog e preparare le foto, sfogliare il dizionario per imparare nuove parole greche, rispondere alle mail che in tanti ci scrivono per avere consigli sulle isole greche, mandare qualche messaggio per i prossimi appuntamenti con gli amici ed organizzare nuovi corsi di kayak per la prossima stagione autunnale. A volte pensiamo che ci manchi il tempo per fare tutto, ma poi arrivano giornate come questa a darci un po’ di respiro: seduti all’ombra della veranda sul mare, sprofondati tra i morbidi cuscini che ricoprono i divanetti di vimini, rilassati al punto da assaporare fino in fondo il viaggio, ci lanciamo uno sguardo d’intesa e capiamo che è ormai arrivato il momento di andare.
Il Meltemi è sempre là fuori ma sembra meno prepotente di prima.
Ci lascia uscire dalla baia e percorrere senza problemi le poche centinaia di metri che ci separano dal primo capo. Poi ci spara contro qualche raffica catabatica quando infiliamo le prue nel golfo successivo, ma già sull’ultimo capo sembra essersi affievolito.
Abbiamo tempo e modo di apprezzare il volo concentrico dei falchi Eleonora che già avevamo intravisto nei giorni scorsi intorno ad Akrotiri Aghia Efimia e sull’isoletta di Kombi, ma che soltanto oggi, liberi dalle preoccupazioni del forte vento contrario, possiamo infine goderci con tutta la tranquillità del caso. Sono ormai le quattro del pomeriggio e anche il Meltemi sembra stanco di fare stravizi.
Appena oltre la piccola isola di Tighani, quella che chiude il capo sud-occidentale di Limnos e che per ultima ci tieni incollati alla costa meridionale dell’isola, il vento sembra lasciarci campo libero: il mare è ancora increspato, con onde che salgono sempre fino ad un metro frangente, ma solo in prossimità delle secche che immancabili contornano tutti i capi rocciosi di questo tratto di costa. Il Meltemi pare andato a riposo. Il porto di Myrina si profila poco distante, appena oltre l’altra coppia di isolette di Diavates.
Facciamo un’ultima sosta, sulla spiaggia triangolare creata dalle correnti che si insinuano tra le isolette e l’isola madre: mentre Mauro si concede l’ultima sigaretta del giro, io “grufolo” anche su questo fazzoletto disseminato di ciottoli e posidonia e… non potevo non incappare nell’ultimo prezioso ritrovamento di Limnos! Per suggellare un periplo che finisce nel migliore dei modi possibili: un’altra conchiglia per la mia collezione!
Ma le emozioni non sono ancora finite.
Quando siamo in prossimità della luce verde del porto di Myrina, ormai quasi ad un passo dal toccare terra, vediamo profilarsi dietro le due isolette di Diavatis che ci siamo appena lasciati alle spalle la sagoma del traghetto scuro e veloce che sbuffa nel cielo alti pennacchi di fumo. Noi siamo ormai all’ingresso del porto: possiamo permetterci di tagliare la strada al traghetto di linea? Con uno scatto da olimpionici ci infiliamo in porto e raggiungiamo in un soffio l’altro lato, giusto sotto il castello di Myrina su cui sventola una grande bandiera greca ancora stirata dal vento. Appena dentro il traghetto entra in derapata, getta l’ancora e attracca al molo. Che dista poche centinaia di metri dallo scivolo sul quale noi tiriamo in secca le nostre due piccole navi: non poteva mancare il ritorno in porto al cardiopalma.
Si conclude così il nostro giro di undici giorni intorno all’isola di Limnos.
E in uno dei luoghi più comodi di sempre: uno scivolo per tirare in secca i kayak con grande facilità, una fontanella di acqua dolce (pure decorata con bellissime conchiglie!) per sciacquare tutta l’attrezzatura, e persino un paio di comode panchine in legno per sedersi a riposare.
Alle otto di sera siamo in taverna, nel cuore animato, caotico e vociante della cittadina turistica di Myrina. Alle dieci invece siamo nella pineta che incorona il porto, alla ricerca di un luogo adatto in cui montare la nostra casetta per una notte. L’aria è intrisa dell’odore penetrante del mosto: siamo a due passi dalla cantina sociale che già avevamo notato al nostro arrivo e che in questi giorni sta lavorando a pieno regime, a giudicare dalla lunga fila di trattori in attesa proprio davanti al suo ingresso, a due passi dai nostri kayak. Le luci del castello di Myrina si intravedono tra gli alberi ed illuminano la notte come una lampada sul comodino…

Opposte reazioni!
In vista del porto di Myrina...
Nel porto!
La fontanella decorata dello scivolo...
Nella taverna dei miei sogni!
Notte al fresco!
L'ingresso del Museo archeologico di Myrina...
Il giardino esterno del museo...
Foto col trucco!!!

Mercoledì 22 agosto 2018 – 42° giorno di viaggio
Myrina – Myrina (Limnos) (0 km in kayak – n>∞ km a piedi)
Vento NE 20 nodi (F5) – mare mosso – 28°C
In attesa del traghetto per Kavala
Mi sveglio ubriaca.
L’odore del mosto è diventato talmente intenso da essere inebriante.
Almeno per me, perché Mauro continua invece a russare della grossa.
Oggi non abbiamo nient’altro da fare che attendere il traghetto che ci riporterà sulla terraferma, in quel porto di Kavala dal quale siamo partiti due settimane fa e nel quale torneremo domattina per riprendere a gironzolare nel Nord Egeo verso nuove mete ancora da definire.
Prima di tutto facciamo una sosta ai kayak per finire di sistemare l’attrezzatura e per preparare il carico da imbarcare sul traghetto (i miei preziosi ritrovamenti, per la disperazione di Mauro, hanno riempito tutta la sacca verde della cambusa e ho ancora il quarto gavoncino del ponte anteriore da svuotare dai ricci, dalle conchiglie e dai pescetti più delicati!). Ci raggiunge sul molo una famigliola greca composta da madre, padre, bimbetta urlante e ben tre cani al seguito, di cui un pastore tedesco alquanto vivace: usano la fontanella di acqua dolce per fare la toletta ai tre cani, senza preoccuparsi non solo della schiuma dello shampoo che ricopre l’intero scivolo ma neanche della vicinanza dei nostri due kayak, presi di mira dai tre cani intenti a sgrullarsi a più riprese. E dire che noi, ieri sera allo sbarco, non ci siamo lavati i capelli sotto la stessa fontanella per lo scrupolo che lo shampoo per l’acqua dolce finisse direttamente in mare. Ci limitiamo ad usare le panchine nell’attesa che Mauro finisca di farsi la barba.
Poi ci sediamo ai tavolini all’aperto del nostro bar preferito, quello in cui abbiamo fatto colazione anche al nostro arrivo sull’isola, e ci godiamo il lento risveglio tanto della cittadina quanto del porto, dove alcuni pescatori stanno pulendo le reti con una lentezza che ci contagia all’istante.
Quando suona mezzogiorno ci spostiamo dal bar al museo.
Il Museo Archeologico di Myrina è un’altra gemma del patrimonio culturale di Limnos. Restaurato dopo il terremoto del 2013 ed allestito nell’antica sede del governatorato ottomano, il museo ospita una serie di interessanti reperti provenienti dagli scavi non solo di Myrina ma anche di Hephaestia e di Poliochni, oltre che da importanti collezioni private. Non abbiamo potuto scattare fotografie ma i tanti oggetti sono di una tale eleganza e ricercatezza che siamo rimasti a lungo ad ammirarli dentro le vetrine espositive del primo piano. Il secondo piano, purtroppo, non è ancora stato aperto al pubblico, ma per la prossima primavera è previsto il tanto atteso ampliamento del museo.
Chiedo a Mauro di raggiungere anche gli scavi dell’antica Myrina, a qualche centinaio di metri sul lungomare oltre il museo. Appena lì, però, lo sento esordire: “Lo sapevo che era solo un cumulo di sassi, andiamo al bar!” Certe volte mi chiedo perché lo porto in viaggio!
Una volta seduti al nostro solito bar del porto, però, mi stupisce con una lunga dissertazione sull'importanza di questi piccoli musei disseminati su tutta l’isola e della possibilità di conoscere la storia passata di un piccolo lembo di terra da sempre al centro di rotte migratorie. Mauro mi ricorda che Poliochni è considerato il primo insediamento d’Europa e che Limnos è la più strategica delle isole Greche, così prossima allo stretto dei Dardanelli. Ecco perché me lo porto in viaggio, l’uomo di ferro!
Dopo una seconda colazione, ci mettiamo al lavoro: aggiorniamo il blog.
E restiamo al bar fino all’ora di cena, quando ci spostiamo in taverna.
Dobbiamo aspettare il traghetto delle 23.30 e ci manca solo di arrampicarci sulla collinetta che sovrasta la città per goderci il tramonto dall’alto del vecchio castello in pietra. Per il resto, solo una piacevole attesa e qualche riflessione sul giro appena concluso di Limnos.
Ripensiamo alle ultime giornate di navigazione perigliosa comodamente sprofondati sui cuscini dei divanetti in legno sistemati sul molo del porticciolo turistico. Ecco, la nostra vacanza sta volgendo al termine: dopo il giro intorno alle due dita della Calcidica, la traversata su Thassos ed il periplo di Limnos, domani il traghetto ci riporterà a Kavala, da cui dovremo poi spostarci in autobus verso Salonicco per recuperare la Mauromobile.
Abbiamo ancora una settimana da spendere in Grecia e ci verrà sicuramente qualche bella idea. Anzi, già ne abbiamo in serbo un paio…

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