Moudros – Paralia Fakos (26 km )
Vento NE 20-25 nodi (F5-6)
– mare mosso – 28°C
Giornata Rock & Roll
Dormire in porto ha i suoi
vantaggi: la comodità di fare rifornimento di acqua e viveri, di sedersi in
taverna ad ammirare il tramonto, di fare due passi sul molo per guardare le
luci delle barche all’àncora e delle stelle in cielo. Ma ha anche degli
innegabili svantaggi: le auto che passano avanti e indietro, le voci delle
famigliole riunite sulla diga foranea per pescare sul far della notte oppure
sul far del giorno, le varie bestiole che vivono nei paraggi e che col buio
danno vita ad un concerto di ululati di cani, canti di galli e ragli di asini.
Riuscire a dormire in porto a volte è davvero difficile.
Per riprendermi dalla
notte travagliata convinco Mauro, senza fare grandi fatiche per la verità, ad
andare al nostro “solito” bar per consumare la prima colazione che, a dispetto
del programma di navigazione che sappiamo ci attende appena fuori dal porto,
scegliamo abbondante, calorica e zuccherosa: due crepes al cioccolato con
contorno di gelato banana e cioccolato più due caffè frappè glikò me gala.
Non ci attardiamo, però,
come è nostro solito perché oggi abbiamo intenzione di visitare il Museo delle
spugne e delle tradizioni marinare di Nea Koutali, nel centro della cittadina
che si intravede dall’altra parte del golfo di Moudros, ad appena sei
chilometri dal nostro campo.
Mentre Mauro finisce di
riporre le ultime sacche stagne nel gavone ed io sono accucciata sulla riva
tutta presa dalle mie cose (cercare conchiglie, cos’altro sennò?!) si avvicina
ai due Voyager un’auto della Guardia Costiera greca. Scende un militare giovane
che con fare deciso si infila il berretto sulla testa e a grandi falcate
raggiunge i kayak. Noi pensiamo subito: “Siamo fritti!”. La sfilza di domande è
serrata e direttamente in inglese: di dove siete, dove andate, avete il VHF,
conoscete il numero della Capitaneria di porto, sapete che oggi ci sono venti
Forza 7 Beaufort? Alle sue domande noi ci rilassiamo e alle nostre risposte anche
lui sembra rilassarsi, ma ci fa scrivere il numero di telefono della Guardia
Costiera e ci ripete tre volte il canale VHF da usare in caso di emergenza. E
ci guarda dritto negli occhi quando dice ancora una volta: “Oggi ci sono venti
forti, Beaufort 7, non qui nel golfo ma tutto intorno all’isola”. E quando noi
lo tranquillizziamo spiegando che abbiamo intenzione di raggiungere Nea Koutali,
lui risponde pacato: “Well, be careful”. Non gli diciamo certo che è nostra
intenzione proseguire anche fuori dal golfo di Moudros per spingerci oltre la
penisola di Fakos, confidando sul fatto che nel pomeriggio il vento di solito
cala leggermente: sarebbe come dirgli che lo sappiamo bene che tutto intorno
all’isola ci sono venti forti, ma noi è proprio là che vogliamo andare, dove
soffiano i venti forti.
Abbiamo avuto l’impressione che fosse profondamente preoccupato per le condizioni del mare e per la nostra sicurezza, ma anche sinceramente ammirato dalle nostre piccole imbarcazioni. Ci sembra che tutti abbiamo un certo rispetto per la gente di mare, qui in Grecia, e anchela Guardia Costiera si comporta di
conseguenza, limitandosi a dare consigli e a fornire numeri utili, ma senza
sognarsi di imporre divieti o limiti di sorta. La visita del mattino, comunque,
ci lascia addosso una certa inquietudine.
Abbiamo avuto l’impressione che fosse profondamente preoccupato per le condizioni del mare e per la nostra sicurezza, ma anche sinceramente ammirato dalle nostre piccole imbarcazioni. Ci sembra che tutti abbiamo un certo rispetto per la gente di mare, qui in Grecia, e anche
Il mare visto dal porto di
Moudros non sembra poi così brutto. Certo il golfo è pieno di ochette che si
rincorrono sempre più velocemente, ma le raffiche del Meltemi non paiono poi così
aggressive, non ancora almeno, anche se sono già chiaramente liberate in un
evidente Forza 5.
Controlliamo di nuovo le
previsioni meteorologiche, per essere sicuri di non infilarci in qualche guaio
e soprattutto di non dovere essere costretti a chiamare il numero di emergenza
della Guardia Costiera, che sotto lo sguardo vigile del nostro milite abbiamo
trascritto sulla tavoletta degli appunti che sempre tengo fissata sul ponte
anteriore del mio kayak. Il Meltemi è dato in aumento rispetto alle giornate
passate e ci conferma che abbiamo fatto la scelta migliore ad allungare un poco
le nostre ultime tappe per riuscire a raggiungere il porto di Moudros. Il vento
è previsto intorno ai 20 nodi, con raffiche in aumento proprio qui a Moudros perché
si incanalano nelle vallate che abbracciano il golfo e scendono potenti verso il
mare, che in effetti è ben presto battuto da ripetute folate che prendono a far
ululare le sartie degli alberi delle vele attraccate al molo e far piegare gli
alberelli di tamerici dietro i quali abbiamo protetto la nostra tendina durante
la notte. Non ci pare comunque che siano condizioni proibitive per andare in
kayak dall’altra parte del golfo.
E così partiamo.
Alle undici e quaranta
siamo in acqua, costeggiamo la diga foranea del porto e puntiamo oltre il
paese, per risalire un tratto di costa verso nord ed affrontare la traversata
da una angolazione migliore: dobbiamo spostarci da est ad ovest, dalla città di
Moudros, accoccolata sul versante orientale dell’ampio golfo interno che prende
il suo nome, alla più piccola cittadina di Nea Koutali, costruita sull’opposto
versante occidentale di questo ampio porto naturale che ora è solcato soltanto
dai nostri due piccoli kayak. Il vento spira da nord, così in traversata ce lo
ritroviamo al traverso destro: impostiamo subito la rotta, puntando le prue a
nord-est per compensare lo scarroccio, e tagliamo tutto il golfo in un’ora
esatta, con un perfetto traghetto laterale che una volta rivisto sullo schermo
del GPS ci lascia una certa soddisfazione.
L’unica difficoltà è stata
la bomba calorica della prima colazione, difficile da digerire durante la
traversata nel vento. Ma niente di più.
Arriviamo davanti
all’ingresso del piccolo Museo delle spugne di Nea Koutali mezz’ora prima che
chiuda i battenti. La signora alla cassa è molto gentile e dopo averci dato i
biglietti del costo di appena 2€ a persona ci lascia intendere che abbiamo
tutto il tempo che vogliamo, tanto lei abita a due passi da qui. Ce la
prendiamo comoda e scattiamo un’infinità di foto, perché questa stanza ricolma
di reperti archeologici, anfore di epoca greco-romana e strumenti di lavoro
della tradizione marinara è davvero un piccolo gioiello che merita una visita
attenta: voluto negli anni Novanta del secolo scorso dal direttore della scuola
elementare, ha ricevuto sin dall’inizio il sostegno dell’intera popolazione
locale, che ha fornito non solo materiale fotografico ma anche racconti,
ricordi e pezzi ereditati dai nonni marinai e diventati patrimonio di famiglia,
ma comunque volentieri ceduti al museo che in breve tempo è divenuto l’orgoglio
del posto.
Il nome del paese racconta
la sua storia: Koutali era l’isola del Mar Nero dalla quale sono stati cacciati
i greci dopo la crisi dell’Asia Minore del 1922, quando le relazioni tra Grecia
e Turchia hanno toccato il punto più nero della storia tra questi due paesi
vicini e lontani, entrambi ponte tra Oriente ed Occidente e che hanno a lungo
rimescolato i propri confini; i profughi che sono stati così fortunati da
salvare le loro poche cose e da raggiungere in barca a remi l’isola di Limnos,
antesignani di ben altre migrazioni che ancora interessano il Mar Egeo ed il
Mar Mediterraneo, hanno fondato la città di Nea Koutali e hanno subito ripreso
le loro professioni: la raccolta delle spugne dal fondo del mare e la loro
commercializzazione in tutta Europa. Accanto ad alcuni magnifici esemplari di
spugne di varia qualità, nel museo sono stati esposti anche gli strumenti
utilizzati al tempo per la pesca e la pulizia delle spugne: lo scafandro dei
palombari, i macchinari per la compressione dell’aria, i ciocchi di legno su
cui venivano battute le spugne ancora bagnate per eliminare incrostazioni e
microrganismi, poi le presse nelle quali venivano passate per togliere anche le
più piccole impurità e anche le grandi forbici con cui le donne davano una
forma attraente alle spugne pronte per la spedizione e la vendita (ed io che ho
sempre considerato le spugne così fragili e delicate!). Tante foto d’epoca
corredano l’esposizione e per qualche momento si rivive vivida l’atmosfera di
quel tempo lontano. Altro dato notevole è che un così piccolo ma interessante
museo sia stato fortemente voluto e realizzato in questo altrimenti dimenticato
paesino dell’isola, rifugio per rifugiati che in questa estate di battaglie
civili per la nostra amata Riace calabra ci ricorda come la storia sia sempre
pronta a ripetersi…
Usciamo al sole e all’afa
con la certezza di avere fatto bene a venire fin qua. Nea Koutali ed il suo
Museo delle spugne valgono il viaggio a Limnos.
Prima di rimetterci in
kayak, però, ci concediamo una sosta all’unica taverna del posto per bere una
birra ed una limonata fresche.
Le previsioni dicono che
il Meltemi dovrebbe calare dopo le tre del pomeriggio, e noi aspettiamo fino
alle quattro per essere sicuri di non essere travolti dalle sue raffiche.
Non sappiamo ancora che
sarà una giornata rock & roll.
Là fuori ci aspetta un
mare mosso come non mai, e soprattutto una navigazione impegnativa che ci porta
prima a sud, poi ad est e poi ancora ad ovest, coprendo quasi tutte le
direzioni possibili in appena tre ore di pagaiata. Non lo possiamo sapere
perché uscendo dal porticciolo di Nea Koutali il vento sembra davvero calato
molto e le raffiche sono del tutto scomparse: raggiungere la piccola isoletta
di Trypiti, di fronte alla chiesetta di Aghios Nikolaos, costruita su uno
scoglio collegato all’isola madre con una passerella di scogli ben levigata,
sembra proprio una passeggiata facile facile. Non ci sembra niente di speciale
neanche superare il capo di Pounda che chiude il canale navigabile di ingresso
nel golfo di Moudros: salutiamo così quella specie di trullo in pietra che è
stato eretto sulla sua estremità (chissà se aveva o meno qualche significato
particolare per la navigazione locale) e puntiamo decisi verso l’esterno del
golfo, ritrovandoci subito a costeggiare la bassa ed allungata isola di
Alogonissi, circondata di secche e bassi fondali che le varie onde frangenti
gonfiate dal Meltemi rendono alquanto difficili da distinguere, perché adesso
ovunque ci sono spruzzi bianchi che ricoprono il mare. Ed i nostri due kayak.
Capiamo che il Meltemi è
ancora lì fuori ad attenderci quando doppiamo il lilliput-faro di Capo Sagrada,
e senza più nessun tipo di protezione della costa, per quanto bassa ma pur
sempre vicina, ci ritroviamo sospinti verso il largo dal vento in poppa che ci
fa filare a quattro nodi pieni. Una velocità stratosferica per le nostre
abitudini, che ci regala una scarica di adrenalina che aspettavamo da tempo e
che mai prima ci era toccata in sorte durante questo viaggio nel Norg Egeo.
Capiamo anche il motivo per cui si dice che il Meltemi nasce proprio nel Norg
Egeo: qui diventa tutto bianco non appena il vento tocca il mare e le folate
sono così repentine ed aggressive che spesso l’acqua viene nebulizzata e
sparata nel cielo come fosse stato accesso un grandissimo ventilatore. Quando
vediamo l’acqua nebulizzata sappiamo che il vento ha raggiunto forza sette. Il militare
della Guardia Costeira aveva ragione, non aveva esagerato: stiamo navigando in un
mare in cui tutte le onde si sfilacciano in lunghe scie bianche.
Ma fino all’isoletta di
Kombi, col suo faro in muratura a chiudere il profilo della penisola di Fakos,
appena cinque chilometri a sud dall’altro lilliput-faro, ci godiamo le onde di
poppa come due bambini al luna park!
E’ quando stiamo per
raggiungere l’isoletta che capiamo che qualcosa sta cambiando. La mappa dice
che non c’è passaggio di acque libere tra l’isoletta e la penisola, collegate
tra loro da una piccola striscia di terra sempre più assottigliata: che però
noi non riusciamo ancora a scorgere. Siamo ormai a poche decine di metri dallo
stretto ma vediamo solo qualche frangente sparso, niente terra: pensiamo quindi
che si possa passare facilmente, magari l’istmo è soltanto un basso fondale che
viene segnalato per evitare che ci si incaglino le imbarcazioni a motore, forse
in kayak c’è acqua sufficiente per andare oltre. Invece no. Ci sono una serie
di scogli affioranti che punteggiano lo stretto braccio di mare tra l’isoletta
e la penisola. Non si passa. E lo capiamo quando siamo ormai in balia di
un’ampia zona di alti frangenti che ci sballottano a destra e a manca.
Per riprendere la rotta in
direzione est dobbiamo virare di ben 90 gradi, cosa non facile tra le onde alte
e con la chiglia così pronunciata del Voyager, un kayak di grande direzionalità
ma scarsa manovrabilità. Ritiriamo le derive che avevamo calato per cavalcare
il mare di poppa e proviamo a risalire i frangenti. Per aggirare l’isoletta,
che ha uno sviluppo costiero di poco più di un chilometro, impieghiamo oltre
mezz’ora.
E quando siamo finalmente
sotto il faro, sulla punta occidentale dell’isoletta, pronti a cambiare
nuovamente direzione per andare verso ovest, ecco che il mare cambia
completamente di stato e ci riserva un’altra bella sorpresa: le scogliere
rocciose dell’isoletta creano una lavatrice notevole, impostata sul programma “lavaggi
strofinacci” per accordarsi col vento imperante, e c’è persino una corrente di
marea creata dai fondali bassi e stretti racchiusi tra l’isoletta e l’altro
vicino scoglio di Kastri, posto in mare aperto ma ad una distanza tale
dall’isoletta di Kombi che per qualche lungo minuto crediamo non si possa
passare neanche di qua. Invece qui si
passa, ma a costo di grandi fatiche, perché superare la corrente di marea non è
cosa facile, anche col vento che adesso soffia di nuovo a favore: la corrente è
talmente forte che ci ritroviamo sulla cresta della stessa onda per molte,
troppe pagaiate consecutive, e solo quando stiamo per disperare di non riuscire
a superare questa prima benedetta onda statica, un’ultima pagaiata più decisa
delle altre ci fa uscire dall’empasse. Che si ripresenta pari pari all’onda
successiva. Ne dobbiamo affrontare quattro o cinque, di queste corpose onde di
marea, per poterci lasciare alle spalle lo stretto tre le due isole. Kombi e
Kastri sembrano messe lì apposto per generare correnti sproporzionate.
Finalmente al riparo,
pensiamo dopo aver superato il canale occupato dagli scogli nel quale si
incanalano forti raffiche di vento, che non si limitano più a sollevare e
nebulizzare l’acqua ma generano anche qualche piccolo mulinello sotto la
scogliera, effetto dell’incrocio dei venti catabatici che scendono dalle
colline verso il mare. Quando si formano i mulinelli sappiamo che il vento ha
raggiunto Forza 8. E che il mare sarebbe quello tipico di una burrasca. Ma non
lungo la costa, dove proprio le folate di vento forte schiacciano le onde e
riducono lo stato del mare. Che però rimane grosso e ruggente. Non siamo ancora
al riparo di niente.
Finché non superiamo il
capo occidentale della penisola di Fakos le onde e le raffiche ci sommergono,
non solo i ponti ma anche i giubbotti, per non parlare degli occhiali che ormai
sono completamente appannati per gli spruzzi d’acqua che li hanno ricoperti sia
fuori che dentro, tra gli occhi e le lenti. Tanto vale toglierli, anche perché
col riverbero del sole calante non riesco più a distinguere la costa. E
continuano ad esserci agglomerati di scogli affioranti su ognuno dei vari capi
che si susseguono sul versante meridionale della penisola.
La prima spiaggia segnata
sulla carta è in realtà un terrapieno creato dalla confluenza di un paio di
torrenti stagionali che poi si gettano in mare da scogliere alte qualche decina
di metri. Quindi niente spiaggia. Dobbiamo proseguire. Temiamo di dover
costeggiare tutto il versante meridionale della penisola fino all’unica altra
spiaggia segnata sulla carta e che Mauro ha anche riportato come possibile
punto di sbarco sul GPS. Quando finalmente, come un miraggio tra gli spruzzi
dei frangenti, si apre una piccola cala con una spiaggia di ciottoli grossi
come uova di dinosauro e con scalini alti come quelli degli antichi templi
greci. Qui è difficile sbarcare ma non ci pensiamo due volte: viriamo le prue
nella baia e dopo qualche secondo siamo al riparo dal vento. Che si incanala
ancora con forza nella gola percorsa soltanto dalle capre, ma ci lascia almeno
l’agio di cenare e di montare la tenda, anche se costretti in un angolino
ricavato tra le alte scogliere della cala. Prima di crollare dal sonno,
tramortiti da una giornata epica!
Life: just add water!| |
Il vecchio compressore manuale per l'aria dei palombari nel Museo delle spugne di Nea Koutali... |
Alcuni degli esemplari conservati nel museo... |
La collezione di anfore del museo di Nea Koutali... |
I pesci della fermata dell'autobus vicino alla scuola di Nea Koutali... |
Il "trullo" di pietre di Akrotiri Pounda... |
Il vento al traverso nei pressi dell'isoletta di Kombi... |
Sul versante meridionale della penisola di Fakos... |
Lo sbarco "agevole" nella caletta di Fakos... |
Lunedì 20 agosto 2018 –
40° giorno di viaggio
Paralia Fakos – Paralia
Nevgatis (13 km )
Vento NE 25-30 nodi (F6-7)
– mare mosso – 28°C
Fino all’ultimo respiro
Il Voyager si è comportato
benissimo ieri e siamo certi che farà ancora meglio pure oggi. E’ un kayak
molto affidabile che negli anni abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare
sempre di più, non tanto perché l’ha ideato Mauro come kayak dei suoi sogni (e
dei suoi studi durati un paio di decenni), ma soprattutto perché è un kayak da
lunghe navigazioni che tiene il vento come fosse una nave. La nostra nave di
fiducia.
Le previsioni le
controlliamo guardando il mare, perché in questa gola dimenticata oggi non c’è più
campo sufficiente per accedere ad internet.
Saliamo in kayak prima del
solito, che non sono ancora suonate le undici del mattino, nella speranza di
battere sul tempo il Meltemi, che ancora non sembra essersi svegliato del tutto:
il mare al largo è già rigato di frangenti numerosi e ravvicinati, ma vicino
alla costa sembra ancora abbastanza tranquillo. E così è fino al capo. Poi si
scatena l’ira del vento.
Abbiamo comunque tutto il
tempo di costeggiare la penisola di Fakos e di apprezzare le sue colline
arrotondate dal vento e bruciate dal sole, che ospitano appena tre chiesette e
qualche ovile per le capre e le pecore semi-selvatiche, le uniche presenze che
avvertiamo ed avvistiamo in queste lande dimenticate.
Verso Akrotiri Fakos,
però, c’è anche un’altra presenza inquietante, anzi il resto di qualcosa che è
stato grande in mare e che ormai da tempo è qui ad arrugginire sugli scogli: il
relitto di una vecchia nave da carico riposa appena prima delle scogliere
pronunciate del capo e già ieri sera ci aveva fatto intravedere i suoi monconi
rossastri che spuntavano tra i frangenti, ma non appena avvistata la nostra
caletta di fortuna ci siamo dimenticati all’istante di quelle lamiere accartocciate.
Oggi ci ricordano ancora una volta che il mare è un ambiente meraviglioso e
vitale ma può diventare pericoloso e mortale se si sottovalutano le sue forze
sproporzionate ed invincibili. Ogni relitto ci ripete che il mare non va mai
contrastato, solo rispettato ed assecondato.
Noi procediamo con estrema
facilità fino ad Akrotiri Aghia Efymia perché tutta la costa è battuta non solo
dal Meltemi ma anche da fortissimi raffiche catabatiche che scendono dalle
colline tondeggianti: il vento che prima avvolge la penisola e poi corre in
mare aperto ci spinge di poppa come a volerci facilitare la pagaiata del
mattino.
Dopo il capo invece è
tutta un’altra storia.
Il Meltemi che arriva da
nord-est si incanala nella baia di Kondias che si apre davanti ai nostri kayak
e raggiunge velocità che non avevamo previsto. Per tutta la mattina ho sperato
di poter sbarcare su Paralia Kokkina, la spiaggia rossa, perché un posto a cui
danno un nome del genere non può che essere bellissimo: appena oltre il capo,
però, capisco che non riusciremo mai a raggiungere Kokkina perché il vento si è
impuntato.
Allora decidiamo di
traversare il golfo.
Senza ancora allontanarci
troppo dalla costa, testiamo la forza del Meltemi, che nelle ore centrali della
giornata soffia sempre al massimo della sue potenza. E’ forte quanto dicevano le
previsioni ieri, perché oggi non sappiamo bene cosa dicono. Solleva spruzzi in
continuazione ma almeno schiaccia le onde, che sembra non superino mai il metro
di altezza. Questo è uno dei pochi vantaggi del Meltemi: gonfia il mare al
largo ma lo spiana vicino alla costa. A nostro vantaggio.
Quando siamo già ad una
buona distanza dall’isoletta di Prasonissi, poco oltre il capo, capiamo di aver
sottovalutato il Meltemi: è più forte di quanto pensavamo e le raffiche nel
centro del golfo sono davvero aggressive. Avremmo forse dovuto fare una sosta
prima di affrontare la traversata, così da lasciare al vento tutto il tempo di
calare, oppure dovremmo pensare di cambiare la nostra rotta per scivolare un
poco di lato, così da fare meno fatica prendendo onde e vento al mascone
destro: ma nel primo caso avremmo dovuto pagaiare controvento per oltre un’ora,
e nel secondo dovremmo affrontare una traversata tra due capi distanti almeno
cinque chilometri, il che significa sostenere l’assalto del vento che soffia da
terra verso il mare aperto, ancora più temibile del solito perché al minimo
errore rischi di ritrovarti sull’isola di fronte, ad oltre quindici miglia. Il
Meltemi è già un vento abbastanza violento anche pagaiando lungo la costa, non
è certo il caso di sfidarlo in mare aperto.
E quindi noi ci ritroviamo
a pagaiare per tre ore consecutive controvento.
Per coprire poco più di
tre chilometri.
Vogliamo raggiungere la
spiaggia di fronte per avere due possibilità: cenare in taverna, che sarà di
certo nascosta tra quella distesa di ombrelloni color acqua marina, e visitare
il pittoresco paesino di Kondias, rinomato per le sue case di pietra.
Nel bel mezzo del golfo di
Kondias, però, quando impieghiamo tutte le nostre forze per contrastare il
vento contrario, sopportando gli schiaffi continui dell’acqua e l’assalto
costante delle onde che sommergono la prua, quando restiamo concentrati su ogni
singola pagaiata nella speranza di risalire qualche altro metro, controllando
la superficie del mare e studiando ogni increspatura per sfruttarla a nostro
vantaggio, quando ci guardiamo spesso attorno per controllare che non sia aumentata
la distanza tra i due kayak, cercando con lo sguardo il guizzo colorato della
nostre pagaie ed annotando a mente la nostra rispettiva posizione, ecco che
abbiamo l’impressioni di non avanzare neanche di un millimetro. Quegli speroni
rocciosi di un bel rosso intenso che si aprono lungo la costa sulla nostra
sinistra non sembra che non si siano spostati per niente, sono sempre nello
stesso punto. Il che significa che anche noi siamo sempre nello stesso punto.
Fortuna che il GPS ci conforta coi suoi numeri: piano, molto piano, ma
avanziamo.
Poi capita sempre che il
Meltemi ha un momento di cedimento, come a voler prendere fiato prima di
sferrare un nuovo assalto. E allora recuperiamo le energie che pensavamo di
avere esaurito e la concentrazione che temevamo di avere perduto: e riprendiamo
a pagaiare controvento, sapendo di dover continuare a faticare per altre ore.
Dice Mauro che in kayak è
sempre così: basta portare pazienza, prima o poi si arriva a destinazione! E
allora testa bassa e pazienza, perché tanto la costa presto o tardi si
avvicina.
Quando siamo finalmente
nei pressi del capo ridossato di Kohlakas, io trovo un corridoio di onde
incrociate che mi attraggono verso la costa a gran velocità, o forse è una
palla colorata da beach volley che mi richiama tra gli scogli per farsi portare
in salvo. L’ultimo chilometro col vento al mascone, che ora ci rende più
sopportabile la fatica, me lo faccio con un’altra palla nel pozzetto, ben
nascosta sotto il paraspruzzi. Alla sbarco Mauro mi guarda con quel suo sguardo
rassegnato, ma già sa che anche questa terza palla trovata in viaggio nel Nord
Egeo è destinata ad essere regalata come le altre, stavolta ai bambini che
giocano nel vicino stabilimento balneare.
Sistemiamo i kayak al riparo di una tamerice abbastanza grande da fornirci sia un po’ di ombra che un bel riparo dal vento.
Sistemiamo i kayak al riparo di una tamerice abbastanza grande da fornirci sia un po’ di ombra che un bel riparo dal vento.
Siccome però sono appena
le quattro del pomeriggio e noi siamo stanchi ma non troppo, e soprattutto abbiamo
una fame da lupi, ci mettiamo in cammino per il paese vicino: Kondias dista
appena tre chilometri ed è famoso per essere il paesino più carino e
caratteristico di Limnos, con le sue case di mattoni accoccolate tra le uniche
due colline dell’isola ricoperte di boschi e di abeti verdeggianti, con la sua
vallata affacciata sul mare in cui spiccano prima due o poi ben cinque mulini
ben conservati, non più funzionanti ma ristrutturati come caffè&hotel. Noi
proseguiamo diretti alla taverna, l’unica aperta in paese.
Restiamo all’ombra della
sua veranda per qualche ora, finchè il sole non si fa meno cocente. Poi
riprendiamo la via per la spiaggia, dove abbiamo lasciato i nostri kayak a
ricoprirsi di sabbia, ed un simpatico signore greco si ferma a darci un
passaggio in auto.
Ci fermiamo a prendere una
birra ed una limonata nel bar sulla spiaggia e quando al tramonto ritorniamo ai
kayak scopriamo che qualche artista del posto ha realizzato delle grandi
spirali sulla sabbia e delle belle piramidi coreografiche tutto intorno ai
nostri due Voyager. Restiamo ad ammirarle a lungo finchè non cala la notte ed
arriva il momento di far riposare le nostre stanche (ma soddisfatte) ossa…
L'imbarco dalla caletta di fortuna nella penisola di Fakos... |
Il relitto delle nostre riflessioni... |
Controvento, quando ormai era calato: prima, niente foto! |
I cinque mulini di pietra del paesino di Kondias... |
Io regalo una palla e che trovo: un pesce! |
Piramidi e spirali sulla sabbia... |
L'ultimo tratto di costa sud-occidentale di Limnos... |
L'ultima sosta di fronte alle due isolette di Diavates... |
Martedì 21 agosto 2018 –
41° giorno di viaggio
Paralia Nevgatis – Myrina
(14 km )
Vento NE 22-25 nodi (F6) –
mare mosso – 28°C
L’ultima tappa
Oggi non ci facciamo prendere
alla sprovvista.
Il Meltemi non è quasi per
niente andato a dormire e già a mezzanotte ha ripreso a soffiare sull’isola,
sulla spiaggia e sulla nostra tenda. La tamerice ci protegge a dovere ma al
nostro risveglio il mare è già tutto rigato di frangenti che corrono veloci
verso il largo. Oggi tergiversiamo.
Non vogliamo vivere
un’altra giornata campale. Sarebbe la terza: ci sono già bastate le altre due!
Siccome è l’ultima tappa
per chiudere il periplo dell’isola e siccome sappiamo che il nostro traghetto
per tornare sulla terraferma parte domani notte, abbiamo tutto il tempo per
chiudere il giro.
Ci trasferiamo armi e
bagagli nel vicino bar sulla spiaggia che già ieri sera ci ha ospitato a lungo,
e dopo due chiacchiere con la simpatica ragazza dietro il banco trascorriamo
tutta la mattinata a rimirare i gatti che giocano tra loro, le galline che
scorazzano nel cortile antistante, le pecore che vengono munte dal pastore del
posto, le tortore che tubano sui fili della luce e le cornacchie che disturbano
e che mi ricordano che sono delle ladre.
Dopo la prima colazione e
anche dopo il pranzo di mezzogiorno, per una volta consumato con le gambe sotto
al tavolo, con una bella insalata greca al posto delle solite barrette di
sesamo col miele, ci affacciamo timidi sul mare per vedere se la situazione è
cambiata. Non ancora: il Meltemi continua a battere l’immensa distesa blu come
fosse un tappeto da ripulire, con forti colpi sferzati ad intervalli regolari
che lasciano il mare segnato da tante righe bianche: torniamo a sederci al bar.
Abbiamo sempre qualcosa da
fare, quando siamo in viaggio in kayak: se non pagaiamo o lottiamo contro il
vento contrario, possiamo leggere, scrivere, chiacchierare tra noi o con altri
viaggiatori conosciuti per caso, aggiornare il blog e preparare le foto, sfogliare
il dizionario per imparare nuove parole greche, rispondere alle mail che in
tanti ci scrivono per avere consigli sulle isole greche, mandare qualche
messaggio per i prossimi appuntamenti con gli amici ed organizzare nuovi corsi
di kayak per la prossima stagione autunnale. A volte pensiamo che ci manchi il
tempo per fare tutto, ma poi arrivano giornate come questa a darci un po’ di
respiro: seduti all’ombra della veranda sul mare, sprofondati tra i morbidi
cuscini che ricoprono i divanetti di vimini, rilassati al punto da assaporare
fino in fondo il viaggio, ci lanciamo uno sguardo d’intesa e capiamo che è ormai
arrivato il momento di andare.
Il Meltemi è sempre là
fuori ma sembra meno prepotente di prima.
Ci lascia uscire dalla
baia e percorrere senza problemi le poche centinaia di metri che ci separano
dal primo capo. Poi ci spara contro qualche raffica catabatica quando infiliamo
le prue nel golfo successivo, ma già sull’ultimo capo sembra essersi affievolito.
Abbiamo tempo e modo di
apprezzare il volo concentrico dei falchi Eleonora che già avevamo intravisto
nei giorni scorsi intorno ad Akrotiri Aghia Efimia e sull’isoletta di Kombi, ma
che soltanto oggi, liberi dalle preoccupazioni del forte vento contrario,
possiamo infine goderci con tutta la tranquillità del caso. Sono ormai le
quattro del pomeriggio e anche il Meltemi sembra stanco di fare stravizi.
Appena oltre la piccola
isola di Tighani, quella che chiude il capo sud-occidentale di Limnos e che per
ultima ci tieni incollati alla costa meridionale dell’isola, il vento sembra
lasciarci campo libero: il mare è ancora increspato, con onde che salgono
sempre fino ad un metro frangente, ma solo in prossimità delle secche che
immancabili contornano tutti i capi rocciosi di questo tratto di costa. Il
Meltemi pare andato a riposo. Il porto di Myrina si profila poco distante,
appena oltre l’altra coppia di isolette di Diavates.
Facciamo un’ultima sosta,
sulla spiaggia triangolare creata dalle correnti che si insinuano tra le isolette
e l’isola madre: mentre Mauro si concede l’ultima sigaretta del giro, io
“grufolo” anche su questo fazzoletto disseminato di ciottoli e posidonia e… non
potevo non incappare nell’ultimo prezioso ritrovamento di Limnos! Per
suggellare un periplo che finisce nel migliore dei modi possibili: un’altra
conchiglia per la mia collezione!
Ma le emozioni non sono
ancora finite.
Quando siamo in prossimità
della luce verde del porto di Myrina, ormai quasi ad un passo dal toccare
terra, vediamo profilarsi dietro le due isolette di Diavatis che ci siamo
appena lasciati alle spalle la sagoma del traghetto scuro e veloce che sbuffa
nel cielo alti pennacchi di fumo. Noi siamo ormai all’ingresso del porto:
possiamo permetterci di tagliare la strada al traghetto di linea? Con uno
scatto da olimpionici ci infiliamo in porto e raggiungiamo in un soffio l’altro
lato, giusto sotto il castello di Myrina su cui sventola una grande bandiera
greca ancora stirata dal vento. Appena dentro il traghetto entra in derapata,
getta l’ancora e attracca al molo. Che dista poche centinaia di metri dallo
scivolo sul quale noi tiriamo in secca le nostre due piccole navi: non poteva
mancare il ritorno in porto al cardiopalma.
Si conclude così il nostro
giro di undici giorni intorno all’isola di Limnos.
E in uno dei luoghi più
comodi di sempre: uno scivolo per tirare in secca i kayak con grande facilità,
una fontanella di acqua dolce (pure decorata con bellissime conchiglie!) per
sciacquare tutta l’attrezzatura, e persino un paio di comode panchine in legno
per sedersi a riposare.
Alle otto di sera siamo in
taverna, nel cuore animato, caotico e vociante della cittadina turistica di
Myrina. Alle dieci invece siamo nella pineta che incorona il porto, alla
ricerca di un luogo adatto in cui montare la nostra casetta per una notte.
L’aria è intrisa dell’odore penetrante del mosto: siamo a due passi dalla
cantina sociale che già avevamo notato al nostro arrivo e che in questi giorni
sta lavorando a pieno regime, a giudicare dalla lunga fila di trattori in
attesa proprio davanti al suo ingresso, a due passi dai nostri kayak. Le luci
del castello di Myrina si intravedono tra gli alberi ed illuminano la notte
come una lampada sul comodino…
Opposte reazioni! |
In vista del porto di Myrina... |
Nel porto! |
La fontanella decorata dello scivolo... |
Nella taverna dei miei sogni! |
Notte al fresco! |
L'ingresso del Museo archeologico di Myrina... |
Il giardino esterno del museo... |
Foto col trucco!!! |
Mercoledì 22 agosto 2018 –
42° giorno di viaggio
Myrina – Myrina (Limnos) (0 km in kayak – n>∞ km a
piedi)
Vento NE 20 nodi (F5) –
mare mosso – 28°C
In attesa del traghetto
per Kavala
Mi sveglio ubriaca.
L’odore del mosto è
diventato talmente intenso da essere inebriante.
Almeno per me, perché
Mauro continua invece a russare della grossa.
Oggi non abbiamo
nient’altro da fare che attendere il traghetto che ci riporterà sulla
terraferma, in quel porto di Kavala dal quale siamo partiti due settimane fa e
nel quale torneremo domattina per riprendere a gironzolare nel Nord Egeo verso
nuove mete ancora da definire.
Prima di tutto facciamo
una sosta ai kayak per finire di sistemare l’attrezzatura e per preparare il
carico da imbarcare sul traghetto (i miei preziosi ritrovamenti, per la
disperazione di Mauro, hanno riempito tutta la sacca verde della cambusa e ho
ancora il quarto gavoncino del ponte anteriore da svuotare dai ricci, dalle
conchiglie e dai pescetti più delicati!). Ci raggiunge sul molo una famigliola
greca composta da madre, padre, bimbetta urlante e ben tre cani al seguito, di
cui un pastore tedesco alquanto vivace: usano la fontanella di acqua dolce per
fare la toletta ai tre cani, senza preoccuparsi non solo della schiuma dello
shampoo che ricopre l’intero scivolo ma neanche della vicinanza dei nostri due
kayak, presi di mira dai tre cani intenti a sgrullarsi a più riprese. E dire
che noi, ieri sera allo sbarco, non ci siamo lavati i capelli sotto la stessa fontanella
per lo scrupolo che lo shampoo per l’acqua dolce finisse direttamente in mare.
Ci limitiamo ad usare le panchine nell’attesa che Mauro finisca di farsi la
barba.
Poi ci sediamo ai tavolini
all’aperto del nostro bar preferito, quello in cui abbiamo fatto colazione
anche al nostro arrivo sull’isola, e ci godiamo il lento risveglio tanto della
cittadina quanto del porto, dove alcuni pescatori stanno pulendo le reti con
una lentezza che ci contagia all’istante.
Quando suona mezzogiorno
ci spostiamo dal bar al museo.
Il Museo Archeologico di
Myrina è un’altra gemma del patrimonio culturale di Limnos. Restaurato dopo il terremoto
del 2013 ed allestito nell’antica sede del governatorato ottomano, il museo
ospita una serie di interessanti reperti provenienti dagli scavi non solo di
Myrina ma anche di Hephaestia e di Poliochni, oltre che da importanti collezioni
private. Non abbiamo potuto scattare fotografie ma i tanti oggetti sono di una
tale eleganza e ricercatezza che siamo rimasti a lungo ad ammirarli dentro le
vetrine espositive del primo piano. Il secondo piano, purtroppo, non è ancora
stato aperto al pubblico, ma per la prossima primavera è previsto il tanto
atteso ampliamento del museo.
Chiedo a Mauro di
raggiungere anche gli scavi dell’antica Myrina, a qualche centinaio di metri
sul lungomare oltre il museo. Appena lì, però, lo sento esordire: “Lo sapevo
che era solo un cumulo di sassi, andiamo al bar!” Certe volte mi chiedo perché
lo porto in viaggio!
Una volta seduti al nostro
solito bar del porto, però, mi stupisce con una lunga dissertazione sull'importanza di questi piccoli musei disseminati su tutta l’isola e della
possibilità di conoscere la storia passata di un piccolo lembo di terra da
sempre al centro di rotte migratorie. Mauro mi ricorda che Poliochni è
considerato il primo insediamento d’Europa e che Limnos è la più strategica
delle isole Greche, così prossima allo stretto dei Dardanelli. Ecco perché me
lo porto in viaggio, l’uomo di ferro!
Dopo una seconda
colazione, ci mettiamo al lavoro: aggiorniamo il blog.
E restiamo al bar fino
all’ora di cena, quando ci spostiamo in taverna.
Dobbiamo aspettare il
traghetto delle 23.30 e ci manca solo di arrampicarci sulla collinetta che
sovrasta la città per goderci il tramonto dall’alto del vecchio castello in
pietra. Per il resto, solo una piacevole attesa e qualche riflessione sul giro
appena concluso di Limnos.
Ripensiamo alle ultime
giornate di navigazione perigliosa comodamente sprofondati sui cuscini dei divanetti
in legno sistemati sul molo del porticciolo turistico. Ecco, la nostra vacanza
sta volgendo al termine: dopo il giro intorno alle due dita della Calcidica, la
traversata su Thassos ed il periplo di Limnos, domani il traghetto ci riporterà
a Kavala, da cui dovremo poi spostarci in autobus verso Salonicco per
recuperare la
Mauromobile.
Abbiamo ancora una
settimana da spendere in Grecia e ci verrà sicuramente qualche bella idea.
Anzi, già ne abbiamo in serbo un paio…
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