SUMMER OPEN SEA KAYAK EXPEDITION...

... un altro viaggio in Grecia... là dove nasce il Meltemi...
partiremo da Salonicco e costeggeremo la penisola della Calcidica, sperando di poter navigare anche intorno alla repubblica monastica del Monte Athos. Poi sarà la volta delle isole Thasos, Samothraki e Limnos.
Per noi è un viaggio aperto, sia per il tempo a disposizione che per altri kayaker che si vorranno unire a noi.
Partiremo ai primi di luglio e contiamo di finire entro agosto. Controllando la posizione che regolarmente pubblicheremo
sul blog e su Facebook, sarà possibile raggiungerci in ogni momento per far parte della squadra.
Tatiana e Mauro

Please use the translator on the left.
We're paddling most of the day and we don't have enough time to translate every single post...
We're confident you understand our position!

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
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mercoledì 8 agosto 2018

Lasciamo l'isola di Thassos...

Domenica 5 agosto 2018 – 25° giorno di viaggio
Paralia Kalami – Paralia Maranton (Thassos) (21 km)
Vento NE 12-15 nodi (F4) – mare poco mosso – 30°C
Navigazione a casaccio
Abbiamo dormito tanto e bene: nonostante il vento non sia mai calato, la notte è stata silenziosa e luminosa, costellata tanto dalla Via Lattea quanto dalle luci dell’albergo costruito in cima alla collina.
Smontiamo il campo prima che scendano in spiaggia i primi turisti.
Non controlliamo nemmeno le previsioni: le stimiamo guardando il mare. Che è ancora mosso, ma un po’ meno di ieri. Andiamo.
Anzi aspettiamo il treno di onde più piccolo perché il solito scalino di rocce a pochi passi dalla battigia rende l’imbarco un po’ rischioso per i kayak.
L’inizio è un po’ duro, quasi quanto ieri mentre doppiavamo il capo, tanto che in un’ora copriamo appena tre chilometri: lungo la scogliera rocciosa le onde frangono con gran borbottio e con alti spruzzi di schiuma bianca, mentre il vento che avvolge l’isola si diverte ad investire con forti raffiche le baie dentro le quali noi cerchiamo riparo. Sui primi capi dobbiamo chinare la testa e procedere con estrema cautela, per evitare che qualche colpo più violento degli altri ci faccia perdere l’equilibrio. Poi riusciamo a trovare un accordo con il vento e con le onde ed avanziamo con minor fatica.
Proviamo anche pagaiare più vicino alla costa quando siamo nei pressi di Giola, una delle località più rinomate dell’isola, tanto da meritare la foto sulla copertina della nostra carta turistica. E’ una vasca naturale incavata nella roccia che mi ricorda quella dove trascorrevamo intere estati a Santo Stefano, l’isola del confino politico vicina a Ventotene. A differenza della nostra piscina dell’adolescenza, questa di Thassos è piena di gente in costume da bagno che aspetta il proprio turno per fare un tuffo nel tondo di acqua turchese: dal mare è inaccessibile e non si può neanche tentare uno sbarco sulle rocce, nemmeno in condizioni tranquille, figuriamoci oggi. Meglio ammirare da sotto in su il grande monastero ortodosso di Archangelos, con le sue cupole rossastre che spiccano sopra le alte mura di pietra costruite proprio a picco sul mare: da lassù la vista deve essere mozzafiato.
Dopo la prima ora le cose si normalizzano e pian piano il vento cala. Così sembra, almeno, anche se il GPS ci dice che allo scoccare della seconda ora abbiamo pagaiato per soli sette chilometri.
Puntiamo diretti nella piccola e ridossata caletta di Alyki, protetta da un basso e pronunciato promontorio che un tempo è stato uno dei più produttivi centri di estrazione del marmo dell’isola: ancora oggi si possono notare gli antichi scavi sul mare, delle vecchie fenditure che ora sembrano tante bocche sdentate che si aprono a pelo d’acqua.
Il paesino di Alyki invece è accoccolato sull’istmo che collega il piccolo promontorio all’isola e vanta ben tre spiagge di sabbia chiara e fine, due su ogni lato dello stretto ed una terza poco più a nord. Sono tutte rigonfie di ombrelloni, bagni attrezzati e taverne. Noi sono tre giorni che sogniamo di mangiare in taverna: scegliamo quella più lontana dalla ressa agostana e per sbarcare tra gli scogli usiamo un grosso tronco levigato dal mare che sembra sistemato lì apposta ad aspettare il nostro arrivo. Il pranzo è abbondante, ottimo e lungo: tra una portata e l’altra, fissiamo il mare in cerca di un segno premonitore. Solo quando non vediamo più i cavalli bianchi che galoppano al largo ci decidiamo a pagare il conto e a riprendere il mare.
Le onde adesso sono tante pecorelle che pascolano con noncurante tranquillità nel golfo e dopo Capo Babouras, sul quale è installato un lilliput-faro ed è pure intagliato un leoncino di pietra scura, lasciano il posto a tante ochette bianche, più piccole ma altrettanto numerose. Continuiamo a pagaiare controvento, districandoci tra le onde che ancora sommergono i ponti dei kayak e mandano spruzzi sugli occhiali ormai completamente appannati. Fatichiamo ancora per avanzare e coprire qualche altro chilometro, appena una decina. Riusciamo però a scambiare qualche parola, per sottolineare il piacere del mare mosso e del vento forte: questo è il Mar Egeo che conosciamo ed amiamo!
L’unico problema è il pranzo in taverna: le cipolle dell’insalata greca non sono proprio la cosa più digeribile quando si deve pagaiare controvento!
Dopo l’ultima propaggine rocciosa esposta al vento, uno scoglio isolato che però è attaccato all’isola da un basso fondale roccioso in cui non ci azzardiamo a far transitare i nostri kayak, superiamo un’isoletta su cui hanno costruito un’unica casetta bianca e che col suo profilo allungato protegge l’ampio golfo di Paradisos. Il nome è ben lontano dal luogo evocato: la spiaggia è quasi del tutto inesistente, mangiata forse dalle onde aggressive delle ultime giornate di Meltemi; le case sono costruite a due passi dal mare e molte villette a schiera occupano la riva; le alture, poi, sono state mangiate da qualche incendio recente ed il colore dominante è un bel marrone smorto.
Sembra molto difficile riuscire a trovare un punto di sbarco.
Proseguiamo fiduciosi anche se il sole è ormai calato dietro i monti, che su questo versante dell’isola raggiungono l’altezza ragguardevole di oltre 1200 metri sul livello del mare. Ed è proprio quando tutto si tinge di rosa che noi riusciamo finalmente a scovare la nostra agognata spiaggetta: è proprio un triangolo di sabbia protetta da un lungo molo di cemento costruito ad uncino tra alcuni vecchi ricoveri per i gozzi dei pescatori locali ed una nuova struttura alberghiera con tanto di piscina e veranda sul mare.
Noi facciamo finta di niente: sbarchiamo, tiriamo i kayak in secca sul molo, ci laviamo e ci cambiamo, facciamo pure in tempo a sgranocchiare qualche acino d’uva e, quando tutti si ritirano per la cena, montiamo la tenda e ci infiliamo nei sacchi a pelo per una meritata notte di riposo.

Il Monastero di Arghangelo...
La costa meridionale di Thassos...
Le imponenti scogliere rocciose...
Il nostro legno di alaggio ad Alyki...
Akrotiris Babouras...
L'ultimo promontorio roccioso prima della costa di Paradisos...
Verso la baia di Vathi...

Lunedì 6 agosto 2018 – 26° giorno di viaggio
Paralia Maranton – Limenas (Thassos) (20 km)
Vento variabile – mare piatto – 33°C
Cambio di programma
Ci sveglia il primo sole.
Il mare è calmo ma c’è ancora vento.
Gli ospiti del resort scendono in spiaggia quando noi siamo già in kayak.
Le previsioni oggi danno i numeri: brezza da nord alle nove del mattino, da sud a mezzogiorno e da ovest alle tre del pomeriggio. Non sappiamo più cosa pensare. Intanto iniziamo a pagaiare. Controvento.
Incrociamo una chiesetta bianca sulla prima isoletta che chiude a sud il golfo occupato da due grandi spiagge attrezzate: tagliamo al largo ammirando le colline ricoperte di boschi e pinete, queste risparmiate dagli incendi che hanno invece incenerito il versante orientale dell’isola.
Ci attende un breve tratto di costa rocciosa molto interessante, con gli scogli tagliati a lamelle scure dal lento lavorio del mare e gli alberi che scendono a bagnarsi i rami nell’acqua, rendendo il paesaggio fresco ed accattivante. Appena passiamo il capo ci ritroviamo all’ingresso di una magnifica baia dall’acqua trasparente e turchese, dalla sabbia chiara e fine come la farina, dalla macchia mediterranea rigogliosa e profumata. Peccato solo che insieme a noi entra anche un grande peschereccio adattato al trasporto dei bagnanti e vomita in acqua un’infinità di testoline urlanti che mi ricordano ancora una volta la minestrina di Mafalda.
Ripartiamo in fretta, per toglierci dal chiacchiericcio fastidioso e dall’ancor più fastidiosa attività del capitano del vascello che, mentre i suoi clienti se ne stanno a mollo nell’acqua bassa e trasparente, se ne va avanti e indietro col tender a motore ed un retino in mano a raccogliere meduse. Le mette tutte in un bel secchio e poi le getta in spiaggia: come si dirà mai in greco che le meduse greche non sono urticanti? E che hanno più diritto di noi di starsene a mollo nell’acqua bassa e trasparente di cala Vathi?
Poco oltre si affacciano sul mare alcune cave di marmo bianco e capiamo la ragione della sabbia tanto fina: farina di marmo. Quella sul mare deve essere stata dismessa da tempo perché proprio accanto ai piloni per il trasporto dei massi squadrati adesso s’è installato uno stabilimento balneare con musica ad alto volume d’ordinanza. Quelle su in collina sono invece ancora attive e lungo le stradine sterrate nascoste tra gli alberi vanno e vengono alcuni camion carichi di marmo che arrancano su e giù per i tornanti polverosi. E così fino al capo successivo. Che è quello del porto principale dell’isola di Thassos: Limenas.
Sul capo c’è un sito archeologico, una chiesetta ed un beach-bar, reperti di epoche diverse che ora convivono nello stesso luogo. Appena oltre si apre la città più grande ed importante dell’isola, con i suoi tre porti attaccati l’uno all’altro: il vecchio porto di un tempo, ora ancoraggio delle barche da crociera giornaliera, il nuovo porto per i traghetti che fanno la spola con la terraferma, ed un terzo molo per altri traghetti di diverse compagnie di navigazione. L’isola di Thassos dista una decina di chilometri dal continente e non è una delle isole più turistiche della Grecia: ciò nonostante qui a Limenas si rincorrono ogni quarto d’ora ben sei traghetti di quattro compagnie differenti, che scaricano ad ogni giro un pugno di passeggeri e una decina di auto.
Ma Thassos non è collegata con nessun’altra isola dell’arcipelago!
Lo scopriamo solo oggi, arrivando in porto.
Il nostro programma prevedeva di passare da Thassos a Samotraki, l’isola più orientale, e poi da lì a Limnos, l’isola più meridionale del Nord Egeo. Le distanze tra le isole sono superiori alle venti e alle trenta miglia rispettivamente e siccome non ci fidiamo più delle previsioni meteorologiche, abbiamo pochi giorni a disposizione e la mia epicondilite è sempre in agguato, avevamo già da giorni deciso che la scelta più sensata sarebbe stata quella di prendere il traghetto. Traversare in una giornata di calma piatta come oggi non sarebbe stato certo un problema, ma ritrovarsi in mare aperto quando il Meltemi si sveglia all’improvviso non è un’esperienza che vogliamo (ri)vivere, non qui nel Nord Egeo dove il Meltemi nasce e cresce in maniera repentina ed imprevedibile. Solo che la corsa Thassos-Samotraki è stata annullata, forse come conseguenza della crisi greca oppure dei tagli imposti dalla Troika o chissà: insomma, niente traghetto per Samotraki. La carta turistica della Terrain la descrive in maniera molto intrigante, come l’isola greca meno turistica e più selvaggia: se Robison Crusoe avesse fatto naufragio in Grecia, sarebbe stato di certo a Samotraki. Ci vivono poco più di duecento abitanti e si può raggiungere in traghetto esclusivamente dal porto di Alexandropolis, 130 chilometri ad est di Thassos e a pochi chilometri dal confine con la Turchia: una vera e propria isola di confine, insomma.
Abbiamo anche pensato di proseguire lungo la costa della Tracia fino ad Alexandropolis, e da lì imbarcarci sul traghetto per Samotraki, trascorrere 3-4 giorni sull’isola per costeggiare i suoi 60 chilometri di sviluppo costiero, e poi tornare indietro. Due settimane di navigazione in kayak, due traghetti di linea per andare e tornare e soprattutto una costa che potrebbe essere più noiosa di quella lungo la quale abbiamo sin’ora pagaiato. Rinunciamo quindi, anche se a malincuore, a visitare Samotraki.
Passiamo all’altra isola in programma: Limnos.
Anche Limnos non è raggiungibile con un traghetto da Thassos.
L’unico porto di collegamento è quello di Kavala, che per noi significa tornare indietro in quel golfo che avevamo tanto volentieri saltato quando la settimana scorsa abbiamo traversato sull’isola di Thassos. Ma tant’è: un viaggio di esplorazione riserva sempre delle sorprese e questo, che per via del trasloco non abbiamo preparato con l’attenzione dei precedenti viaggi, non poteva certo andare avanti senza nessun intoppo.
Allora niente, oggi bighelloniamo per Limenas: dopo un’estenuante ed inutile passeggiata sotto il sole cocente delle due del pomeriggio per raggiungere la biglietteria del porto e toglierci anche l’ultimo dubbio che Thassos non ha altri collegamenti marittimi se non con la terraferma, ci accomodiamo in una taverna sul mare a due passi dai nostri kayak e facciamo sera.

La splendida baia di Vathi...
Le vicine cave di marmo abbandonate...
L'arrivo a Limenas, il porto di Thassos...
Il mio Inukshuk di marmo bianco di Thassos...
I traghetti bifronte che collegano Thassos alla terraferma...
La bella isoletta di Thasopoula...
Il campo ad Akrotiri Ammodhis...

Martedì 7 agosto 2018 – 27° giorno di viaggio
Limenas (Thassos) – Akrotiri Ammodhis (22 km)
Vento variabile – mare calmo – 34°C
Finalmente soli
I nostri vicini di tenda sono una bella famigliola ucraina che non ci ricambia del benché minimo sguardo o saluto: come fossimo trasparenti.
Ce ne andiamo a fare colazione al bar, all’ombra di un grande platano dai cui rami pendono tanti barattoli di vetro con dentro delle lampadine che, avevamo visto ieri sera passando, mandano all’intorno una bella luce diffusa e verdastra che ci ha convinto a tornare anche con la luce del giorno. Tanto più che il menù è ricco ed abbondante.
Scattiamo una foto alla carta dell’isola tenuta ferma dai pezzettini di marmo bianco che sono ovunque disseminati sulla spiaggia di sassolini bianchi, pure questi di origine marmorea, e salutiamo velocemente il nostro piccolo Inukshuk di marmo bianco che ieri sera mi sono divertita a costruire aspettando il tramonto.
Traversiamo con tutta calma sulla vicina e piccola Isola di Thasopoula, avvolta da forti correnti di marea e ricoperta da pochi alberelli sparsi: c’è solo una vecchia casetta di pietra sul versante occidentale dell’isola, altrimenti disabitata e dimenticata in questo stretto braccio di mare così trafficato. Il rumore dei traghetti ci accompagna fin sull’altro versante, per essere poi sostituito dal rumore dei piccoli aerei che transitano sul vicino aeroporto. Prima una leggera brezzolina a favore ci spinge dentro l’ampio golfo di Keramoti, oltre la cittadina che ospita il porto di collegamento con l’isola di Thassos, come per dirci che abbiamo fatto bene a rinunciare a Samotraki per tornare sulla terraferma; poi invece una decisa brezza contraria ci ostacola fino al basso e sabbioso capo di Ammodhis, oltre il quale c’è un lilliput-faro che si confonde tra le dune sabbiose e le massicciate di marmo bianco, come per dirci che forse avremmo fatto meglio ad andare nell’altra direzione…
Ci convinciamo definitivamente di avere fatto la scelta giusta quando avvistiamo un pellicano appollaiato sui bidoni galleggianti di uno degli allevamenti di cozze che punteggiano questo tratto di costa. Mi era capitato di vedere i pellicani solo nella foce del Danubio, una ventina di anni fa, e mai mi sarei aspettata di ritrovarli anche qui in Grecia: conosciamo la storia romanzata del pellicano salvato ed adottato da un pescatore di Mikonos, nelle Isola Cicladi, ma non ci sembra proprio che agosto sia il mese delle migrazioni dal Baltico all’Africa. I pellicani sono uccelli giganteschi e con quei pancioni corpulenti sembrano quasi delle pecore in volo; nonostante la mole, però, hanno una grazia incredibile e quelle ali lunghissime dalla punta annerita restano spesso immobili per sfruttare le correnti aeree. Il nostro pellicano solitario se ne sta lì tranquillo e solo più tardi si riunisce al resto della compagnia che se ne sta in attesa sui bidoni blu di un altro allevamento: noi sbarchiamo proprio di fronte a loro e ci godiamo quei voli leggiadri per buona parte della sera.
L’altra parte è dedicata a “grufolare” alla ricerca di (tantissimi!) preziosi ritrovamenti sulla lunga spiaggia di sabbia in cui siamo finalmente soli: per chilometri davanti e dietro di noi non c’è nessuno, nessuna luce, nessuna musica, nessuna voce. Soli, finalmente!

Due cuori e una tenda!
Solo una sale in kayak, purtroppo!
Composizione inquietante, secondo Mauro... 
Le boe di ormeggio al largo del porto del cementificio...
Il mondo visto attraverso gli occhiali stenopeici di Mauro...
L'arrivo a Kavala...
Il faro del quartiere vecchio di Kavala...

Mercoledì 8 agosto 2018 – 28° giorno di viaggio
Akrotiri Ammodhis – Kavala (19 km)
Vento SW 2-3 nodi (F1) – mare calmo – 33°C
Giornata piena
Soli per modo di dire!
Questo posto è una specie di zoo all’aria aperta: ci sono esseri viventi che si muovono dappertutto, che strisciano, saltellano o volano tutt’intorno a noi, alla nostra tenda e ai nostri kayak. Durante la notte non abbiamo visto e sentito niente, solo il transito lontano di qualche altro traghetto. Ma al mattino capiamo di non essere soli per niente.
L’aria è satura di zanzarine innocue ed innocenti, che non pungono ma si limitano a svolazzarti attorno, qualche volta nelle orecchie ma niente di più. Ci sono poi un gran numero di libellule rosse e di farfalle colorate che, insieme ad alcune coccinelle, regalano un tocco di colore a questa mattinata ingrigita dall’afa. Non mancano i ragni, anzi non fai in tempo ad aprire il tappo di un gavone che loro ci hanno già fatto la ragnatela attorno: sono però ragni così leggeri che volano via alla prima bava di vento, e molti si rintanano anche nei ricci verdi disseminati sulla spiaggia. Passeggiando un po’ sulla sabbia trovo, oltre ai tantissimi gusci di granchio e a qualche notevole esemplare di pinna nobilis, anche due tartarughe di mare, purtroppo morte e sbiancate dal sole, e due grandi tartarughe di terra, queste vive e vegete e con un grande appetito, a giudicare dalla foga con cui divorano i fiorellini viola scovati tra l’erbetta verde cresciuta sulle sponde irregolari dello stagno.
Più in alto di zanzare, libellule e farfalle volano uccelli di ogni tipo: aironi cinerini, garzette bianche come la neve, cormorani neri come il petrolio, beccacce di mare con l’inconfondibile becco arancione, sterne gracchianti ogni volta che pescano un pesciolino, gabbiani stranamente silenziosi e ovviamente pellicani. Stamattina ne seguiamo prima un paio in volo sullo stagno retrodunale a pochi metri dal nostro campo, e sulle prime pensiamo che siano come i carri-armati di Mussolini, sempre gli stessi che vanno e vengono per sembrare un esercito: invece ad un tratto si alzano in volo una dozzina di pellicani e tutti insieme si mettono a fare grandi evoluzioni sulla nostra tenda, come a darci il buongiorno in questo posto incantato che ci regala emozioni inaspettate.
E pensare che noi neanche ci volevamo venire!
Peccato doversene andare. Sarebbe bello restare per un altro giorno, ma senza la minima bava di vento oggi qui si rischia la liquefazione.
Saliamo in kayak stranamente “presto”, una mezz’ora prima di mezzogiorno.
Il paesaggio oltre le basse dune costiere non è poi molto invitante: nella grande pianura interna spuntano le ciminiere di una raffineria, in corrispondenza della quale ritroviamo sulla carta nautica i divieti relativi alla zona di collegamento con le piattaforme petrolifere installate al largo nel golfo di Kavala; più in là sulle colline sono evidente i segni delle cave di marmo, vicino alle quali hanno non a caso costruito un cementificio, dotato di un porto in costruzione talmente grande che per qualche lungo minuto temiamo di non riuscire a superare, non solo per le sue dimensione sproporzionate ma anche per una corrente decisa, e ovviamente a noi contraria, che diventa ancor più evidente una volta raggiunte le grandi boe galleggianti per l’ormeggio delle navi.
Stanchi del panorama e fiaccati dalla temperatura del mattino, tanto dell’aria immota e umida quanto dell’acqua verdastra e caldissima, ci rifugiamo in una caletta alle porte del paese di Kavala, che già si profila oltre il promontorio. Qui trovo una distesa di ricci verdi ad attendermi sulla spiaggia mentre Mauro, demoralizzato dai miei continui ritrovamenti, si defila in mare per uno shampoo. Lo seguo dopo aver riposto i ricci in una scatolina anti-urto: dobbiamo renderci presentabili prima di fare il nostro ingresso in città.
Kavala è un grande centro turistico, tanto che vanta ben tre porti, molto più grandi ed affollati di quelli di Limenas a Thassos. La cittadina si distende su due promontori rocciosi collegati da un antico acquedotto di pietra che ci ricorda quelli romani, anche se è ormai soffocato da condomini in cemento di dieci piani: il centro storico è circondato da mura difensive in pietra che dal mare si possono ammirare in tutta la loro estensione. Oltre le mura merlate si rincorrono casette basse coi tetti di tegole rosse e qualche chiesa ortodossa con le immancabili cupole arrotondate. Sul capo si staglia un bel faro bianco e superato uno scoglio poco distante dalla scogliera rocciosa ci ritroviamo nel porto. Anzi, fuori dal porto.
Le foto aeree che avevamo controllato su internet non corrispondono più alla realtà: le cose cambiano in fretta e qui hanno costruito un imponente diga foranea che taglia fuori dal porto noi ed i nostri due kayak. Fortuna che c’è sempre una spiaggetta a risolvere le situazioni più complicate.
Sbarchiamo sui sassi delle riva, portati più che dal mare dai lavori di scavo del porto ancora in corso. Andiamo alla biglietteria a chiedere informazioni sui traghetti per Limnos e con sollievo scopriamo che ci sono tutti i giorni, anche se con orari sempre differenti: scegliamo di partire domani alle 17, così abbiamo anche il tempo di fare un giretto in città.
Cena in taverna, ovviamente, per chiudere questa prima parte del viaggio: realizziamo a tavola che siamo in navigazione continua da un mese. Ce lo meritiamo proprio un giorno di riposo…

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