Paralia Gomati – Akrotiri
Trighies (12 km )
Vento NE 18-22 nodi (F5) –
mare mosso – 28°C
Furto in kayak
Le cornacchie sono delle
ladre!
Mentre eravamo in taverna,
ieri sera sul far del tramonto, una coppia di ardite furbastre si è ingegnata
per sottrarre dagli elastici del ponte posteriore del mio kayak uno dei miei
preziosi ritrovamenti. Le ho viste da lontano, troppo lontano per poterle
spaventare e distogliere dal loro intento furtivo, maldestro ma riuscito: con
una serie di beccate ben assestate hanno sfilato una delle mie ossa di
tartaruga preferite, quella a forma di due piccole ali aperte in volo che credo
sia uno speciale raccordo del carapace delle tartarughe marine Caretta caretta.
L’hanno scelto forse per la similitudine con le loro ali nerastre, oppure, come
insinua Mauro, per l’odore penetrante che dopo giorni di esposizione al sole,
all’acqua e al vento ancora esala da quelle ossa raccolte sulla spiaggia di
Ammodhis, poco prima del porto di Kavala.
Ho passato buona parte
della serata e poi della mattinata a battere in lungo ed in largo le grandi
dune di sabbia di Pachies Ammoudhies che cingono l’ampia baia di Gomati,
rinomate per la loro estensione e mutevolezza, ricoperte di profumati gigli di mare ed in punto panoramico anche da un vecchio carro armato ormai del tutto arrugginito: ho cercato il mio ossicino
adorato per ore, ma invano, se lo saranno portato in volo chissà dove, quelle
due ladre.
Mauro mi richiama
all’ordine: dobbiamo smontare la tenda prima che se la porti in volo il vento.
Stanotte ci siamo spostati dietro all’ultima delle quattro roulottes sistemate
su questa parte lla spiaggia ed è stata una notte molto tranquilla: all’una e
mezza abbiamo sentito alzarsi il vento ma poi abbiamo ripreso sonno senza
problemi, ben ridossati dietro lo schermo scelto da Mauro.
Smontare invece è tutta un’altra
storia.
Col vento forte la vita di
terra cambia radicalmente.
Le vecchie abitudini vanno
adattate alle nuove condizioni meteorologiche: non si possono più lasciare in
giro cose incustodite, per evitare che il vento se le porti via, né aprire o
chiudere le sacche stagne senza interrogarsi prima sulla direzione del vento, e
la stessa cosa vale per i gavoni: adesso che siamo su una spiaggia di sabbia
tanto sottile e leggera, capace di infilarsi nelle fessure più piccole e
nascoste, dobbiamo anche stare attenti alla parte in cui ci accucciamo accanto
ai kayak, perché il vento crea vortici capaci di sparare granelli con una forza
pari ad un cannone, di solito sempre negli occhi, oltre che nei gavoni.
Mentre il vento in mare
crea puro divertimento, a terra è un vero tormento. L’unico vantaggio del vento
a terra è che scaccia le zanzare e le mosche: niente fastidio volante né alla
sera né al mattino. Resta solo il problema della sabbia, ma una volta in mare
anche quello si risolve.
Ci mettiamo più del solito
a smontare il campo. Ma abbiamo tempo. Anche per chiacchierare un poco con la
famigliola veronese che si avvicina per chiederci cosa diavolo stiamo
combinando con due kayak nel Nord Egeo: loro sono scesi dai Balcani con tre
biciclette montate sul tetto dell’auto e lasciano la spiaggia di Gomati poco
prima che apra la kantina.
Noi invece aspettiamo che
il vento cali ancora, accoccolati sui comodi divanetti sistemati sulla spiaggia
all’ombra di una semplice tettoia di canne secche, che smosse dal vento
riproducono il chiacchiericcio del mare: tra un toast ed un caffè, scrutiamo
l’ingresso della baia nell’attesa che le onde frangenti diminuiscano quel poco
per farci prendere il mare senza fare troppa fatica. Non abbiamo nessuna voglia
di lasciare i polmoni sulla costa settentrionale di Limnos e quindi aspettiamo
la breve finestra giornaliera in cui il Meltemi è dato in attenuazione.
Le previsioni sembrano
tornate attendibili ed affidabili: 20 nodi costanti tutti intorno all’isola di
Limnos, che pure la carta turistica della Terrain descrive come l’isola del
vento, che il meteo annuncia in calo solo per qualche ora nel primo pomeriggio.
Il picco più alto dell’isola è appena 430 metri sul livello del mare e tutta l’isola
è formata da basse colline tondeggianti ed ampie vallate coltivate, che si
allungano in mare creando una costa frastagliata ricca di baie, golfi, promontori,
penisole e capi pronunciati, che conferiscono a Limnos una forma molto
caratteristica e simile ad una farfalla con le ali spiegate (che ricorda in
grande l’Isola di Favignana nell’arcipelago della Egadi siciliane). La sua
conformazione orografica favorisce l’agricoltura isolana ma al tempo stesso non
offre alcun riparo dai forti venti di nord-est, che si abbattono su tutta
l’isola per tutto l’anno, quasi incessantemente. E per il Meltemi è un invito a
nozze scorazzare su e giù per quest’isola bassa e deserta, salire facilmente
sulle colline per poi tuffarsi con irruenza dall’altra parte.
E noi aspettiamo.
Quando finalmente, alle
tre del pomeriggio, le raffiche sembrano diminuire un tantino, noi ci mettiamo
in mare. Usciamo dal golfo con una certa facilità e proseguiamo vicini alla
costa, per cercare di sfruttare almeno la corrente di ritorno generata dalle
grandi onde che ancora frangono sulla scogliera rocciosa.
Il tratto di costa vicino
al quale stiamo pagaiando si sviluppa proprio verso est ed il Meltemi non
sembra volerci lasciare tregua: fino al capo Akrotiri Falakro è tutto un
susseguirsi di basse pareti grigiastre levigate dall’acqua e dal vento, con
qualche piccola spiaggetta incassata al fondo di vallate deserte e dimenticate,
che non offrono alcun riparo al navigante perché non ci nasce neanche un
alberello.
La costa nord-occidentale
di Limnos è comunque molto bella, anche se tutta uguale a se stessa, così bassa
e lineare e quasi monotona: emana un fascino tutto particolare, forse per la
completa assenza di costruzioni, solo qualche chiesetta sui punti panoramici ed
un paio di ovili nascosti tra le canne. E’ un panorama rilassante.
Dopo il capo la costa si
apre in tante calette che nascondono altrettante spiaggette: noi ci spingiamo
fin dentro all’ultima baia prima del capo successivo, sormontato dalla solita
chiesetta ortodossa, una piccola stanza dipinta di bianco con il tetto di
tegole rosse e l’immancabile bandiera greca a sventolare sull’Egeo, come a
voler rimarcare il confine con le vicine isole turche.
C’è un porticciolo che
sembra essere stato costruito un momento prima di essere stato abbandonato:
anche le quattro barchette all’ancora sembrano state dimenticate qui dai loro
proprietari e solo un paio di persone di affacciano distrattamente sul molto
mentre noi sbarchiamo.
Non ci sono molte scelte:
l’unico angolo riparato è quello accanto alla strada sterrata che dal
porticciolo sale alla chiesa, dietro un canneto protetto da un paio di timidi
alberelli, tra i quali spunta, subito dopo il tramonto, una bellissima falce di
luna argentata.
Anche stanotte dormiamo
tranquilli. Anzi, dopo il record della tappa più breve e della partenza più
lenta, battiamo anche un altro record del viaggio, quello della notte più lunga:
dodici ore filate dalle nove di sera alle nove del mattino seguente!
Le scogliere tra Paralia Gomati ed Akrotiri Trighies... |
Le strane formazioni di sabbia fossile di Akrotiri Trighies... |
Il campo nel campo... |
Le belle rocce lavorate di Akrotiri Trighies... |
Mauro l'ha nominato "Il bacio dei femori":.. |
Martedì 14 agosto 2018 –
34° giorno di viaggio
Akrotiri Trighies –
Paralia Kotsinas (12 km )
Vento NE 18-22 nodi (F5) –
mare mosso – 28°C
Paesaggi campestri
Siamo in aperta campagna.
La tenda si riempie del
profumo secco del fieno appena tagliato e lasciato sul campo nelle balle
vecchio stile dalla indimenticabile forma di parallelepipedo (quelle ancora si
vedevano nelle nostre terre prima dell’avvento delle moderne balle
cilindriche). Le basse colline all’intorno sono ricoperte di questi inserti
color giallo paglierino, che dal mare non riuscivamo a capire bene cosa fossero
e che adesso si palesano in tutta la loro chiarezza: campi di grano tra cui
spiccano sparuti mulini a vento e qualche raro impianto di irrigazione. I
colori dell’isola sembrano quelli di un quadro, tutte le gradazioni della terra
bruciata dal sole, qualche macchia di verde ed il blu del mare a fare da
cornice. Puoi restare ore a guardarti intorno senza mai annoiarti.
Anche oggi dobbiamo
ammazzare il tempo.
Facciamo una lunga
passeggiata fino al capo per scrutare il mare dall’alto.
Sull’altro versante si
aprono tante piccole calette incastonate tra scogliere rocciose dalle forme
molto curiose, lunghe lame che si allungano nell’acqua bassa e che quando
restano esposte al vento sembrano lavorate all’uncinetto, con tanti forellini
nella superficie rossastra come mille occhi aperti sul mare.
Torniamo al campo per pranzare
sotto altre canne.
Partiamo con la solita
estrema lentezza, quando sono già passate da un po’ le due del pomeriggio.
Superiamo il capo ed
entriamo nella cala successiva, quella che finisce nella lunga spiaggia sabbiosa
di Kotsinas.
Appena viriamo le prue di
90 gradi e prendiamo il vento al giardinetto, le onde di un paio di metri ci
spingono nel golfo a tambur battente: al principio mi serve qualche minuto per
adattarmi alla nuova andatura, ma subito dopo ci godiamo il mare di poppa che
ci accompagna con tranquilla decisione per i sei chilometri successivi.
Il mare è un elemento vivo
che non smette di affascinarci: è incredibile la velocità con la quale può
cambiare la sua condizione, passando nell’arco di una sola giornata da mosso a
calmo a mosso di nuovo, mutando di colore oltre che di umore, ed imponendo al
pagaiatore una continua modifica dell’assetto di navigazione. E tutto nell’arco
di poche ore.
Noi puntiamo sul versante
orientale della baia, quello sotto al vecchio forte in pietra dove è stata costruita
anche una grande chiesa ortodossa. Accanto si intravedono tre taverne: noi
scegliamo l’ultima, quella più ridossata dal vento, che non è più calato e che
ora rinfresca l’aria al punto da farci sentire quasi freddo. Il cibo abbondante
e gustoso ci fa dimenticare il Meltemi per qualche ora, oggi che sembra calato
di poco e per poco, giusto il tempo della nostra breve pagaiata di un paio
d’ore.
Non possiamo restare nel
borgo marinaro per la notte perché non ci sono spazi adatti per la tenda, né
tantomeno zone riparate dal vento.
Ci rimettiamo in kayak
alle sette di sera per spostarci di un paio di chilometri sull’altro versante
della baia, sotto un’altra chiesetta dedicata al santo più venerato della
Grecia, Agios Nikolaos. Tre ampie tamerici forniscono il giusto schermo per il
vento durante la notte e la giusta ombra per il sole del primo mattino.
Ci addormentiamo che fuori
c’è ancora luce.
La ricerca infruttuosa di puntelli per lo sbarco a Kotsinas... |
Notturno su Paralia Kotsinas... |
Incontri ravvicinati... |
Ombre fossili! |
Visita mancata all'anfiteatro! |
Mercoledì 15 agosto 2018 –
35° giorno di viaggio
Paralia Kotsinas –
Akrotiri Sotira (13 km )
Vento NE>NW 15-18 nodi
(F4-5) – mare mosso – 28°C
Visita mancata
Anche stamattina ci tocca
aspettare.
Smontiamo con tutta
tranquillità.
La vicina kantina si offre
la solita ombra ed il solito caffè mentre ci dedichiamo all’attività più
frequente di questi ultimi giorni: l’attesa.
Dopo avere studiato a
lungo e con estrema attenzione le tecniche di decollo e di atterraggio delle
libellule del posto, dai corpicini flebili tinti di rosso e di giallo, che a
seconda del diverso colore sembrano scegliere anche rametti differenti per
fermarsi a riposare, siamo finalmente pronti per ripartire.
Passiamo subito davanti al
porticciolo privato dove ieri non ci è stato possibile sbarcare: una ragazza
gentile si era subito alzata dalla sdraio per venirci a dire che è un’area
privata. Costruita nel nulla per chissà quale motivo.
Col vento che soffia al
traverso, perché nel frattempo è girato come previsto da nord-est a nord-ovest,
usciamo dalla baia di Kotsinas diretti poco più a nord, verso una della zone di
maggior interesse archeologico dell’isola di Limnos, l’anfiteatro di Hephaestia.
Gli scavi hanno portato
alla luce non soltanto il magnifico anfiteatro, modificato più volte durante
l’occupazione bizantina, greca e romana, ma anche un santuario dedicato agli
dei, delle fornaci per la lavorazione della ceramica, dei bagni costruiti nel
periodo ellenico ed una serie di residenze disseminate tutte intorno alla
vallata, che già di per se stessa è uno spettacolare anfiteatro naturale
affacciato sul mare. Il cimitero rinvenuto nei pressi dell’abitato è stato
datato tra l’8 ed il 5 secolo a.C. e, come dicono le guide turistiche,
testimonia che l’area è stata abitata sin dall’età del bronzo.
Sbarchiamo nei pressi di
un ovile e tiriamo i kayak in secca su un cumulo di posidonia. Ci cambiamo e ci
arrampichiamo su per il sentiero di capre che dal mare serpeggia intorno alla
collina fino all’anfiteatro, segnalato appena da un cartello sbiadito piantato
nel bel mezzo di un terreno incolto lasciato come pascolo per le greggi.
Il sito è aperto tutti i
giorni escluso il lunedì dalle otto del mattino alle tre del pomeriggio: oggi
non è lunedì ma è chiuso lo stesso. Sarà perché è il 15 di agosto? “Ah, perché
oggi è già ferragosto?”, ci chiediamo perplessi avendo completamente perso la
nozione del tempo… Eh già, oggi è proprio ferragosto. Niente visita
all’anfiteatro, solo un giro all’esterno della recinzione per scattare qualche
foto ricordo.
Torniamo mesti ai kayak e
ci rimettiamo in mare.
Il vento non è calato ma
avendo girato a nord-ovest già dalla tarda mattinata ci accompagna al traverso
per gli altri pochi chilometri di navigazione, fino al capo che già si profila
all’orizzonte, lungo colline bruciate dal sole e battute dal vento, tanto che
non solo mancano gli alberi ma anche le case o costruzioni di qualsiasi genere,
ad eccezione ovviamente delle solite chiesette bianche.
Sbarchiamo nel porticciolo
riparato dietro al capo, dove sono all’ancora una mezza dozzina di piccoli
gozzi: il semicerchio di scogli affioranti che protegge tutta la baia sembra
quasi un bacino naturale creato dalle correnti, ma potrebbe anche essere un
lavoro artificiale mai terminato. Non riusciamo a capirlo neanche parlando col
pescatore che si avvicina a salutarci, perché anche se dice di parlare un poco
di spagnolo non sembra capire le nostre domande. Ascoltando il suono sommesso
della timida risacca creata da questa curiosa mezza luna di scogli affioranti, mi
dedico a “grufolare” per un poco tra i banchi di posidonia e gli scogli
lavorati all’uncinetto e con grande sconforto di Mauro trovo quattro orecchie
di Venere, un pesce-pennello rosso amaranto ed un vecchissimo rastrello giallo
con cinque dita aperte a ventaglio.
Al riparo di uno masso
color ruggine che ci proteggerà anche dal vento notturno, Mauro si mette ai
fornelli e ceniamo quando il sole cala all’orizzonte, tingendo il cielo rigato
di nuvole giallastre di un bel color ramato che ci rimane a lungo impresso
nella memoria e nell’iride. E che ci aiuta a contenere un poco l’amarezza che
proviamo quando ci raggiungono le tragiche notizie del crollo del ponte di
Genova, sul quale siamo passati chissà quante volte anche noi negli anni e nei
mesi passati: sappiamo che nessuno dei nostri amici è rimasto coinvolto ma ci
sembra comunque assurdo che accadano ancora cose di questo genere…
Appena oltre l'anfiteatro di Hephaestia... |
Le scogliere verso Akrotiri Sotira... |
Cena nel porticciolo naturale o artificiale di Akrotiri Sotira... |
Il faro di Akrotiri Plaka dal versante occidentale... |
Il faro di Akrotiri Plaka dal versante orientale... |
Giovedì 16 agosto 2018 – 36° giorno di viaggi
Akrotiri Sotira - Poliochni
(36 km )
Vento NE 10-12 nodi (F4) –
mare mosso – 28°C
Doppiamo il capo nord-est,
finalmente!
Aspettiamo che il vento
cali anche stamattina.
Ma l’attesa è più breve rispetto
ai giorni passati: a mezzogiorno siamo già in mare, pronti a doppiare il capo
nord-orientale dell’isola.
Dopo giornate di
navigazione programmata e modificata per sottostare alle bizze del Meltemi,
peraltro ampiamente annunciate, non ci pare vero di poter superare adesso un
capo che ci è sembrato a lungo irraggiungibile. Abbiamo inoltre da soddisfare
diverse esigenze, non solo quella di avanzare per completare prima o poi il
periplo dell’isola, ma anche quella di dedicare del tempo alla visita di Limnos
e delle sue bellezze (anche se nascoste nell’entroterra), oltre a quella non
secondaria di rimpinguare le scorte di acqua e di viveri che iniziano ormai a
scarseggiare, visto che su questo versante settentrionale sono del tutto
assenti degli insediamenti di qualche entità che possano essere definiti centri
abitati (e che abbiano qualche negozio oppure una taverna).
Pagaiamo per due ore
controvento, coprendo appena i sette chilometri che ci separano dal faro, una
bella costruzione bianca, alta ed affusolata che ci ripaga dei tanti giorni
passati a lottare contro il Meltemi: almeno questo non è uno dei soliti
lilliput-fari issati su un misero treppiedi di ferro dipinto di bianco, ma è
una vera e propria vedetta di pietra posta sul basso promontorio che chiude
l’isola a fare la guardia a questo angolo di Mar Egeo. Le sue quattro finestre
allineate verso l’azzurro del cielo calamitano la nostra attenzione per tutta
la durata della veloce pagaiata che compiamo per doppiare il capo: il vento che
prima ci ostacolava sotto il faro sembra scomparire, come a tributargli la
giusta dose di rispetto e sottomissione; oltre il capo, poi, il vento riprende
a soffiare con maggior convinzione, ma visto che le nostre prue nel frattempo
hanno virato di quasi 180°, passando da nord-est a sud-ovest, i nostri due
kayak corrono sulle onde che è un vero piacere, lasciandoci godere sia della
vista del faro che del panorama singolare del capo, e non ultimo anche del mare
di poppa, finalmente.
Dopo aver cavalcato con
grande soddisfazione e una evidente corrente di marea proprio sulla punta
estrema dell’isola, seguiamo un’altrettanto decisa ma invisibile corrente che
ci spinge veloci dentro il primo golfo del versante orientale di Limnos. In
pochi minuti arriviamo al porto di Paralia Plaka dove sbarchiamo nel solitario
e grande scivolo di quest’altra mastodontica opera dimenticata nel nulla per cercare
di fare rifornimento di acqua dolce. Troviamo un rubinetto proprio accanto allo
scivolo e scambiamo appena due parole con i due uomini che dipingono di blu il
gozzo tirato in secca sul molo.
Riprendiamo la navigazione
dopo appena mezz’ora, desiderosi di approfittare del vento a favore che da
giorni speravamo di sfruttare. Il Meltemi non ci gioca tiri mancini, non cambia
direzione in maniera improvvisa ed imprevista, non si mette a soffiare in senso
contrario ma segue la nostra navigazione con buona sincronia, come un fedele
compagno di viaggio deciso a seguirci e che ci scorta lungo buona parte della
costa orientale dell’isola. In queste condizioni è un piacere navigare e
passiamo a spron battuto quasi tutte le baie che si aprono su questo versante
di Limnos, nascondendo al di là di canneti e qualche rado alberello di tamerice
una grande laguna e due più piccoli laghi salmastri, che insieme alle lunghe dune
costiere sono state inserite nella zona protetta Natura 2000: queste lande
desolate ed isolate, infatti, offrono protezione e riparo a molte specie di
uccelli migratori, oltre che a numerose e rare specie autoctone di flora e di
fauna. Noi dal mare vediamo solo una breve interruzione nella corona di dune,
che forse indica uno degli sfoghi in mare della laguna interna, ed una serie
pressoché infinita di spiagge di sabbia dorata completamente deserte, occupate
solo all’estremità di Akrotiri Keros dalla comitiva di surfisti tedeschi che
già avevamo incontrato sull’altro versante dell’isola.
La costa è battuta dal
vento e per una decina di chilometri corre così bassa che il punto più alto
sembra essere costituito dai banchi di posidonia ammassati sulla riva. Il sole
che inizia a calare dietro l’isola crea un riverbero così forte sull’acqua che rende
non solo impossibile scattare fotografie ma anche pagaiare senza stringere gli
occhi fino a farli diventare due minuscole fessure.
Superiamo d’infilata le
due baie successive di Keros e di Kavallaris, col vento che ci spinge a tre
nodi pieni e che ci fa scorrere a fianco le alture interne dell’isola come se
fossero su diversi piani prospettici che scivolano via di lato.
Vogliamo raggiungere quel capo
rossastro e roccioso e pronunciato che scorgiamo laggiù, poco prima
dell’estremità sud-orientale dell’isola, così da superare questa successione di
basse baie battute dal vento e da trovare un giusto riparo per la notte, quando
il Meltemi torna di solito a far sentire la sua voce.
C’è un piccolo porticciolo
ricavato nell’ansa protetta della baia di Poliochni, ai piedi di una chiesetta
dedicata ad Agios Georgios, e noi speriamo con tutto il cuore che ci sia anche
una taverna. Entriamo nel porto e restiamo di stucco: solo quattro gozzi e
troppi banchi di posidonia, talmente alti da rendere difficile persino il
nostro sbarco.
Mauro però è inamovibile:
vuole lo stesso andare in taverna. In paese. A Kaminia. A cinque chilometri
nell’entroterra! Alle otto di sera passate da un pezzo.
Ci mettiamo quasi un’ora
ad andare, lungo stradine di cemento dimenticate da tutti che corrono tra campi
coltivati, orti e pascoli per le pecore. Quando ormai disperiamo di trovare una
taverna perché il paese sembra piombato in un silenzio ovattato, interrotto
appena da qualche grillo che canta alle stelle, l’odore invitante dei suvlaki
ci penetra nelle narici e ci guida fino alla piazzetta della chiesa, che è
ricolma di tavolini apparecchiati e di persone che chiacchierano amabilmente. A
noi, però, non ci considera nessuno, neanche i cinque camerieri che corrono
avanti e indietro nella piazza adibita a sala all’aperto del piccolo ristorante
paesano. Aspettiamo quasi un’ora che si degnino di portarci il menù, di
prendere l’ordine e di servirci due piatti di spiedini fumanti: certo ottimi e
gustosi, ma dopo questo inspiegabile scarto temporale, sommato alla distanza geografica
che ci separa dai kayak, finisce che ceniamo quando sono ormai suonate le
undici di sera. Impieghiamo un’altra ora per tornare ai kayak e montiamo la
tenda quando è già cominciato un nuovo giorno…
Lungo la costa nord-orientale di Limnos... |
Col vento in poppa... |
Un momento di magica coincidenza astrale! |
Il passaggio di Akrotiri Fourni, oltre i cretti di Burri... |
La sosta a Paralia Skidi (la palla resta ai bagnanti!)... |
Venerdì 17 agosto 2018 –
37° giorno di viaggio
Poliochni – Moudros (30 km )
Vento NE 8-10 nodi (F3) –
mare poco mosso – 30°C
Vento in poppa
Poliochni è un altro dei
più rinomati siti archeologici dell’isola, famoso per essere uno degli
insediamenti preistorici più importanti del Mar Egeo, ed anche uno dei più
antichi d’Europa, fondato addirittura nel quarto secolo a.C. Pare che gli
archeologi abbiano scelto di dipingere le varie residenze rinvenute con colori
differenti (giallo, rosso, verde, blu, nero, marrone e viola) a seconda dei
diversi periodi storici, donando al sito un certo fascino alla pop-art. Noi non
lo visitiamo, ne leggiamo solo sulla guida: al nostro arrivo ieri sera era già
chiuso da un pezzo e stamattina il sole è talmente forte, ed in questa caletta
ridossata dal vento fa crescere la temperatura così tanto, che proprio non ci
azzardiamo a rifare la salita di cemento per raggiungere il suo ingresso. Ci
accontentiamo di sbirciare dietro le palme che delimitano il sito e che dalla
nostra postazione lasciano intravedere una parte degli scavi e qualche antico
resto preistorico.
Poi il caldo ci fa battere
un altro record, smontare il campo e prendere il mare in meno di due ore. Una
volta in kayak, invece, appena usciti nella baia battuta dal vento, avvertiamo
un freddo tale da farci venire i brividi.
Passiamo d’infilata la
bellissima spiaggia di Makrys Ghialos, sormontata da alte dune dorate
punteggiate di tamerici, dalla piccola chiesetta di Aghia Triadha e dai quattro
mulini a vento di Aghia Sofia. Corriamo nel vento fino al capo pronunciato e
roccioso di Aghios Sozon, sul quale spiccano due pale eoliche la cui luce
lampeggiante rossa ci ha guidato ieri notte per tornare dal paese al porto.
Anche qui troviamo le
solite correnti di marea che ci attendono su ogni capo e che ci ricordano
quanto siano importanti le correnti superficiali che abbracciano tutte le isole
del Mar Egeo. Ma stavolta non è la corrente ad attirare la mia attenzione: poco
oltre il capo scorgo una palla gialla e blu che rotola sulle ondine gonfiate
dal vento chiedendomi assistenza. Con qualche pagaiata la raggiungo e la faccio
salire a bordo, infilandola tra le cosce sotto il paraspruzzi: il Meltemi sta
rinforzando ma la costa oltre il capo successivo corre da est ad ovest e per un
lungo tratto ci proteggerà dalle sue raffiche. Posso quindi correre ancora una
volta il rischio di navigare con un pallone nel pozzetto: dopo la palla
multicolore di Thassos, adesso è la volta di una palla a volute dorate di
Limnos.
Ma le sorprese non
finiscono qui.
Sull’ultimo capo
dell’isola, Akrotiri Aghia Irini, trovo un altro insperato ed incommensurabile
tesoro: un pescetto di legno che galleggia a pelo d’acqua, lungo la linea della
corrente costiera segnata dalle foglioline e dai filamenti di posidonia. Un
pesce perfetto per la mia collezione! Cerco di spiegare a Mauro l’importanza e
la bellezza del momento: una cosa è trovare una palla che rotola sul mare,
grande abbastanza da essere avvistata da una certa distanza e visibile anche da
lontano per i suoi bei colori vivaci, ma tutt’altra cosa è scovare un piccolo
pescetto di legno alla deriva, nascosto sotto il pelo dell’acqua, tra i
frangenti delle ondine generate dal vento sul capo ed i riverberi della luce forte
del primo pomeriggio a picco sul mare. Chi avrebbe mai potuto prevedere con una
così perfetta sincronia astrale che io avrei incrociato la rotta di questo
bellissimo pesciolino proprio alle due del pomeriggio di questo speciale venerdì
17 agosto dell’anno di grazia 2018? E senza mutare di un grado la mia rotta,
senza manovrare per recuperarlo, senza neanche fermarmi o dover tornare
indietro: insomma, un vero e proprio incontro magico, di quelli che capitano
solo una volta nella vita! Ma Mauro non sembra cogliere l’incredibile
coincidenza, scatta solo una foto e tira dritto.
Oltre il capo dei miracolosi
incontri marini si apre un lungo tratto di costa bassa e rocciosa in cui i vari
scogli piatti e dorati che scivolano in mare ricordano i cretti di Burri,
laddove i vari massi cotti dal sole si spaccano in tante fenditure irregolari
che segnano tutta la riva.
Oltre una chiesetta bianca
dimenticata nella radura si apre una baietta idilliaca dove sbarchiamo per una
meritata sosta. E per uno shampoo, il primo dopo giorni di navigazione nel
vento, che ha trasformato i nostri capelli in ammassi di sterpaglia intrecciata
e bruciata dal sole.
Mancano poche pagaiate per
raggiungere il capo più esaltato dell’isola, quello di cui la carta turistica
della Terrain decanta le grotte ed i faraglioni e le incredibili formazioni
rocciose di origine vulcanica. Sarà che siamo un po’ stanchi di questo piattume
che caratterizza l’isola di Limnos, o del fatto che in due giorni abbiamo
pagaiato intorno alla stessa collina dalla vertiginosa altezza di ben 250 metri sul livello del
mare (talmente irrilevante che Mauro insinua che la misura sia comprensiva
anche delle due altissime antenne telefoniche che spiccano sulla sua cima),
sarà che non vediamo l’ora di arrivare in porto per fiondarci in taverna, ma
insomma noi tutte queste bellezze non le vediamo, né la grotta, né i faraglioni
né le rocce vulcaniche. Niente vediamo, solo un lilliput-faro piazzato sul
costone roccioso alto una spanna che segnala l’ingresso nel grande golfo
interno di Moudros. Nient’altro. Poi solo altre spiagge sabbiose tra canneti e
banchi di posidonia e qualche casetta di villeggiatura. Fino al porto.
Perdiamo un po’ di tempo a
scovare un punto di sbarco che faccia al caso nostro, lungo questa costa bassa
che digrada senza soluzione di continuità dai campi coltivati dell’entroterra
ai greti dei fiumi che solcano la campagna, fino ai pantani umidi e melmosi che
si aprono alle porte della città. Poi finalmente raggiungiamo il porto e
scoviamo un angolino pietroso alle spalle della diga foranea dove forse
riusciamo a tirare in secca i kayak e a ricavarci uno spazio per la tenda.
Magari anche al riparo dal vento, dietro una di quelle tamerici rinsecchite che
nascono proprio ai bordi dello spiazzo di cemento del porto di Moudros. E così
è: alle porte del paese più grande ed importante dell’isola di Limnos c’è un
posto adatto anche per noi.
In pochi minuti siamo
seduti alla taverna del porto, a gustare i pochi piatti disponibili del menù,
con la mezza luna che si affaccia tra gli alberi delle uniche due vele
attraccate al molo principale.
Controluce... |
La costa bruciata oltre Paralia Skidi... |
L'unico scorcio interessante di Akrotiri Malathria... |
Il conglomerato pericolante verso Akrotiri Sagrada... |
La curiosa cattedrale di Moudros... |
Sabato 18 agosto 2018 –
38° giorno di viaggio
Moudros – Moudros (0 km )
Vento NE 10 nodi (F3) –
mare poco mosso – 32°C
Sosta in porto
La notte è stata
travagliata.
Non per il vento, che per
una volta ci ha lasciati tranquilli, ma per i vari rumori molesti che ci hanno
svegliato più volte e per intervalli sempre più lunghi: prima la musica di una
discoteca lontana ma comunque per noi troppo vicina, poi i canti di troppi
galli svegli ben prima dell’alba, infine i guaiti di un cane che forse soffre
della sindrome del buio e che si placa soltanto dopo il sorgere del sole.
Quando noi ci ritroviamo a guardarci con occhi sbarrati e sonnolenti,
consapevoli di avere già perso buona parte delle energie che invece speravamo
di recuperare.
Ci trasciniamo a fatica ai
tavolini all’ombra del bar del porto.
Neanche dopo due caffè
frappè e due crepes al cioccolato riusciamo a riprendere vigore. Ci vogliono
ancora un paio d’ore di lenta rinascita per potere affrontare la salita al
paese, una scalinata più in su del porto, appena dietro il Museo Marittimo in
cui trascorriamo un’altra mezz’ora, seduti nella sala proiezioni, aspettando la
fine del filmato sulla storia singolare dell’isola di Limnos, punto di snodo
tra Oriente ed Occidente che nei secoli ha risvegliato gli istinti guerrafondai
di mezzo mondo e centro nevralgico dell’accoglienza dei profughi greci dopo la
tragica fuga dall’Asia Minore del 1922.
Sperando di avere
recuperare forze sufficienti, ci avventuriamo per le viuzze soleggiate del
paese, raggiungiamo la cattedrale dai curiosi campanili decorati con colonnine
celesti, entriamo in uno dei pochissimi negozi di alimentari e poi caracolliamo
di nuovo ai tavoli all’ombra del bar del porto.
Il bello della Grecia è
anche questo: bar e ristoranti sono aperti tutto il giorno, da mattina a sera,
senza nessuna interruzione, ed i camerieri si danno il cambio per garantire ai
turisti un servizio continuato dal primo mattino alla notte inoltrata, con una
gentilezza che lascia di stucco se si considera che lavorano per tutta l’estate
sotto il sole cocente dell’Egeo e che lottano per tutto il giorno contro
l’assalto sferzante del Meltemi.
Il bar del porto di
Moudros ha occupato coi suoi tavolini dal ripiano di vetro tutta la piazzetta
circolare raccolta intorno ad una fontana centrale ed abbellita da alberelli di
rubinie, palme e pini che corrono lungo i vialetti mattonati: sembra un tacito
accordo tra l’amministrazione comunale ed il privato imprenditore per rianimare
le giornate assolate di questa cittadina altrimenti sonnecchiante e fin troppo
tranquilla.
Noi ci troviamo
perfettamente a nostro agio in questo porticciolo appartato di Limnos ed
aggiorniamo il blog nel tranquillo silenzio del pomeriggio, seduti accanto ad
una siepe impreziosita da alcune pesanti gomene azzurre, talmente lunghe che ci
fanno interrogare se non siano state recuperate da chissà quale traghetto
dismesso oppure comperate delle giusta misura per adornare tutto il giardino
occupato dal locale. Dove noi aspettiamo che faccia sera, per spostarci poi nella
vicina taverna a cenare di gusto e dopo ancora per rinvigorirci del fresco che
in serata arriva finalmente a coronare una lunga e “faticosa” giornata di
riposo.
Il vento è annunciato in
aumento per la notte: dovremo cercare un riparo migliore per la nostra tenda,
che Mauro ha già adocchiato e che dovremmo farci andare bene lo stesso anche se
è un po’ troppo lontano dai kayak…
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