SUMMER OPEN SEA KAYAK EXPEDITION...

... un altro viaggio in Grecia... là dove nasce il Meltemi...
partiremo da Salonicco e costeggeremo la penisola della Calcidica, sperando di poter navigare anche intorno alla repubblica monastica del Monte Athos. Poi sarà la volta delle isole Thasos, Samothraki e Limnos.
Per noi è un viaggio aperto, sia per il tempo a disposizione che per altri kayaker che si vorranno unire a noi.
Partiremo ai primi di luglio e contiamo di finire entro agosto. Controllando la posizione che regolarmente pubblicheremo
sul blog e su Facebook, sarà possibile raggiungerci in ogni momento per far parte della squadra.
Tatiana e Mauro

Please use the translator on the left.
We're paddling most of the day and we don't have enough time to translate every single post...
We're confident you understand our position!

Le nostre pagine Facebook: Tatiana Cappucci - Mauro Ferro
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sabato 18 agosto 2018

Lento incedere della pagaia...

Lunedì 13 agosto 2018 – 33° giorno di viaggio
Paralia Gomati – Akrotiri Trighies (12 km)
Vento NE 18-22 nodi (F5) – mare mosso – 28°C
Furto in kayak
Le cornacchie sono delle ladre!
Mentre eravamo in taverna, ieri sera sul far del tramonto, una coppia di ardite furbastre si è ingegnata per sottrarre dagli elastici del ponte posteriore del mio kayak uno dei miei preziosi ritrovamenti. Le ho viste da lontano, troppo lontano per poterle spaventare e distogliere dal loro intento furtivo, maldestro ma riuscito: con una serie di beccate ben assestate hanno sfilato una delle mie ossa di tartaruga preferite, quella a forma di due piccole ali aperte in volo che credo sia uno speciale raccordo del carapace delle tartarughe marine Caretta caretta. L’hanno scelto forse per la similitudine con le loro ali nerastre, oppure, come insinua Mauro, per l’odore penetrante che dopo giorni di esposizione al sole, all’acqua e al vento ancora esala da quelle ossa raccolte sulla spiaggia di Ammodhis, poco prima del porto di Kavala.
Ho passato buona parte della serata e poi della mattinata a battere in lungo ed in largo le grandi dune di sabbia di Pachies Ammoudhies che cingono l’ampia baia di Gomati, rinomate per la loro estensione e mutevolezza, ricoperte di profumati gigli di mare ed in punto panoramico anche da un vecchio carro armato ormai del tutto arrugginito: ho cercato il mio ossicino adorato per ore, ma invano, se lo saranno portato in volo chissà dove, quelle due ladre.
Mauro mi richiama all’ordine: dobbiamo smontare la tenda prima che se la porti in volo il vento. Stanotte ci siamo spostati dietro all’ultima delle quattro roulottes sistemate su questa parte lla spiaggia ed è stata una notte molto tranquilla: all’una e mezza abbiamo sentito alzarsi il vento ma poi abbiamo ripreso sonno senza problemi, ben ridossati dietro lo schermo scelto da Mauro.
Smontare invece è tutta un’altra storia.
Col vento forte la vita di terra cambia radicalmente.
Le vecchie abitudini vanno adattate alle nuove condizioni meteorologiche: non si possono più lasciare in giro cose incustodite, per evitare che il vento se le porti via, né aprire o chiudere le sacche stagne senza interrogarsi prima sulla direzione del vento, e la stessa cosa vale per i gavoni: adesso che siamo su una spiaggia di sabbia tanto sottile e leggera, capace di infilarsi nelle fessure più piccole e nascoste, dobbiamo anche stare attenti alla parte in cui ci accucciamo accanto ai kayak, perché il vento crea vortici capaci di sparare granelli con una forza pari ad un cannone, di solito sempre negli occhi, oltre che nei gavoni.
Mentre il vento in mare crea puro divertimento, a terra è un vero tormento. L’unico vantaggio del vento a terra è che scaccia le zanzare e le mosche: niente fastidio volante né alla sera né al mattino. Resta solo il problema della sabbia, ma una volta in mare anche quello si risolve.
Ci mettiamo più del solito a smontare il campo. Ma abbiamo tempo. Anche per chiacchierare un poco con la famigliola veronese che si avvicina per chiederci cosa diavolo stiamo combinando con due kayak nel Nord Egeo: loro sono scesi dai Balcani con tre biciclette montate sul tetto dell’auto e lasciano la spiaggia di Gomati poco prima che apra la kantina.
Noi invece aspettiamo che il vento cali ancora, accoccolati sui comodi divanetti sistemati sulla spiaggia all’ombra di una semplice tettoia di canne secche, che smosse dal vento riproducono il chiacchiericcio del mare: tra un toast ed un caffè, scrutiamo l’ingresso della baia nell’attesa che le onde frangenti diminuiscano quel poco per farci prendere il mare senza fare troppa fatica. Non abbiamo nessuna voglia di lasciare i polmoni sulla costa settentrionale di Limnos e quindi aspettiamo la breve finestra giornaliera in cui il Meltemi è dato in attenuazione.
Le previsioni sembrano tornate attendibili ed affidabili: 20 nodi costanti tutti intorno all’isola di Limnos, che pure la carta turistica della Terrain descrive come l’isola del vento, che il meteo annuncia in calo solo per qualche ora nel primo pomeriggio. Il picco più alto dell’isola è appena 430 metri sul livello del mare e tutta l’isola è formata da basse colline tondeggianti ed ampie vallate coltivate, che si allungano in mare creando una costa frastagliata ricca di baie, golfi, promontori, penisole e capi pronunciati, che conferiscono a Limnos una forma molto caratteristica e simile ad una farfalla con le ali spiegate (che ricorda in grande l’Isola di Favignana nell’arcipelago della Egadi siciliane). La sua conformazione orografica favorisce l’agricoltura isolana ma al tempo stesso non offre alcun riparo dai forti venti di nord-est, che si abbattono su tutta l’isola per tutto l’anno, quasi incessantemente. E per il Meltemi è un invito a nozze scorazzare su e giù per quest’isola bassa e deserta, salire facilmente sulle colline per poi tuffarsi con irruenza dall’altra parte.
E noi aspettiamo.
Quando finalmente, alle tre del pomeriggio, le raffiche sembrano diminuire un tantino, noi ci mettiamo in mare. Usciamo dal golfo con una certa facilità e proseguiamo vicini alla costa, per cercare di sfruttare almeno la corrente di ritorno generata dalle grandi onde che ancora frangono sulla scogliera rocciosa.
Il tratto di costa vicino al quale stiamo pagaiando si sviluppa proprio verso est ed il Meltemi non sembra volerci lasciare tregua: fino al capo Akrotiri Falakro è tutto un susseguirsi di basse pareti grigiastre levigate dall’acqua e dal vento, con qualche piccola spiaggetta incassata al fondo di vallate deserte e dimenticate, che non offrono alcun riparo al navigante perché non ci nasce neanche un alberello.
La costa nord-occidentale di Limnos è comunque molto bella, anche se tutta uguale a se stessa, così bassa e lineare e quasi monotona: emana un fascino tutto particolare, forse per la completa assenza di costruzioni, solo qualche chiesetta sui punti panoramici ed un paio di ovili nascosti tra le canne. E’ un panorama rilassante.
Dopo il capo la costa si apre in tante calette che nascondono altrettante spiaggette: noi ci spingiamo fin dentro all’ultima baia prima del capo successivo, sormontato dalla solita chiesetta ortodossa, una piccola stanza dipinta di bianco con il tetto di tegole rosse e l’immancabile bandiera greca a sventolare sull’Egeo, come a voler rimarcare il confine con le vicine isole turche.
C’è un porticciolo che sembra essere stato costruito un momento prima di essere stato abbandonato: anche le quattro barchette all’ancora sembrano state dimenticate qui dai loro proprietari e solo un paio di persone di affacciano distrattamente sul molto mentre noi sbarchiamo.
Non ci sono molte scelte: l’unico angolo riparato è quello accanto alla strada sterrata che dal porticciolo sale alla chiesa, dietro un canneto protetto da un paio di timidi alberelli, tra i quali spunta, subito dopo il tramonto, una bellissima falce di luna argentata.
Anche stanotte dormiamo tranquilli. Anzi, dopo il record della tappa più breve e della partenza più lenta, battiamo anche un altro record del viaggio, quello della notte più lunga: dodici ore filate dalle nove di sera alle nove del mattino seguente!

Le scogliere tra Paralia Gomati ed Akrotiri Trighies... 
Le strane formazioni di sabbia fossile di Akrotiri Trighies...
Il campo nel campo...
Le belle rocce lavorate di Akrotiri Trighies...
Mauro l'ha nominato "Il bacio dei femori":..

Martedì 14 agosto 2018 – 34° giorno di viaggio
Akrotiri Trighies – Paralia Kotsinas (12 km)
Vento NE 18-22 nodi (F5) – mare mosso – 28°C
Paesaggi campestri
Siamo in aperta campagna.
La tenda si riempie del profumo secco del fieno appena tagliato e lasciato sul campo nelle balle vecchio stile dalla indimenticabile forma di parallelepipedo (quelle ancora si vedevano nelle nostre terre prima dell’avvento delle moderne balle cilindriche). Le basse colline all’intorno sono ricoperte di questi inserti color giallo paglierino, che dal mare non riuscivamo a capire bene cosa fossero e che adesso si palesano in tutta la loro chiarezza: campi di grano tra cui spiccano sparuti mulini a vento e qualche raro impianto di irrigazione. I colori dell’isola sembrano quelli di un quadro, tutte le gradazioni della terra bruciata dal sole, qualche macchia di verde ed il blu del mare a fare da cornice. Puoi restare ore a guardarti intorno senza mai annoiarti.
Anche oggi dobbiamo ammazzare il tempo.
Facciamo una lunga passeggiata fino al capo per scrutare il mare dall’alto.
Sull’altro versante si aprono tante piccole calette incastonate tra scogliere rocciose dalle forme molto curiose, lunghe lame che si allungano nell’acqua bassa e che quando restano esposte al vento sembrano lavorate all’uncinetto, con tanti forellini nella superficie rossastra come mille occhi aperti sul mare.
Torniamo al campo per pranzare sotto altre canne.
Partiamo con la solita estrema lentezza, quando sono già passate da un po’ le due del pomeriggio.
Superiamo il capo ed entriamo nella cala successiva, quella che finisce nella lunga spiaggia sabbiosa di Kotsinas.
Appena viriamo le prue di 90 gradi e prendiamo il vento al giardinetto, le onde di un paio di metri ci spingono nel golfo a tambur battente: al principio mi serve qualche minuto per adattarmi alla nuova andatura, ma subito dopo ci godiamo il mare di poppa che ci accompagna con tranquilla decisione per i sei chilometri successivi.
Il mare è un elemento vivo che non smette di affascinarci: è incredibile la velocità con la quale può cambiare la sua condizione, passando nell’arco di una sola giornata da mosso a calmo a mosso di nuovo, mutando di colore oltre che di umore, ed imponendo al pagaiatore una continua modifica dell’assetto di navigazione. E tutto nell’arco di poche ore.
Noi puntiamo sul versante orientale della baia, quello sotto al vecchio forte in pietra dove è stata costruita anche una grande chiesa ortodossa. Accanto si intravedono tre taverne: noi scegliamo l’ultima, quella più ridossata dal vento, che non è più calato e che ora rinfresca l’aria al punto da farci sentire quasi freddo. Il cibo abbondante e gustoso ci fa dimenticare il Meltemi per qualche ora, oggi che sembra calato di poco e per poco, giusto il tempo della nostra breve pagaiata di un paio d’ore.
Non possiamo restare nel borgo marinaro per la notte perché non ci sono spazi adatti per la tenda, né tantomeno zone riparate dal vento.
Ci rimettiamo in kayak alle sette di sera per spostarci di un paio di chilometri sull’altro versante della baia, sotto un’altra chiesetta dedicata al santo più venerato della Grecia, Agios Nikolaos. Tre ampie tamerici forniscono il giusto schermo per il vento durante la notte e la giusta ombra per il sole del primo mattino.
Ci addormentiamo che fuori c’è ancora luce.

La ricerca infruttuosa di puntelli per lo sbarco a Kotsinas...
Notturno su Paralia Kotsinas...
Incontri ravvicinati...
Ombre fossili!
Visita mancata all'anfiteatro!

Mercoledì 15 agosto 2018 – 35° giorno di viaggio
Paralia Kotsinas – Akrotiri Sotira (13 km)
Vento NE>NW 15-18 nodi (F4-5) – mare mosso – 28°C
Visita mancata
Anche stamattina ci tocca aspettare.
Smontiamo con tutta tranquillità.
La vicina kantina si offre la solita ombra ed il solito caffè mentre ci dedichiamo all’attività più frequente di questi ultimi giorni: l’attesa.
Dopo avere studiato a lungo e con estrema attenzione le tecniche di decollo e di atterraggio delle libellule del posto, dai corpicini flebili tinti di rosso e di giallo, che a seconda del diverso colore sembrano scegliere anche rametti differenti per fermarsi a riposare, siamo finalmente pronti per ripartire.
Passiamo subito davanti al porticciolo privato dove ieri non ci è stato possibile sbarcare: una ragazza gentile si era subito alzata dalla sdraio per venirci a dire che è un’area privata. Costruita nel nulla per chissà quale motivo.
Col vento che soffia al traverso, perché nel frattempo è girato come previsto da nord-est a nord-ovest, usciamo dalla baia di Kotsinas diretti poco più a nord, verso una della zone di maggior interesse archeologico dell’isola di Limnos, l’anfiteatro di Hephaestia.
Gli scavi hanno portato alla luce non soltanto il magnifico anfiteatro, modificato più volte durante l’occupazione bizantina, greca e romana, ma anche un santuario dedicato agli dei, delle fornaci per la lavorazione della ceramica, dei bagni costruiti nel periodo ellenico ed una serie di residenze disseminate tutte intorno alla vallata, che già di per se stessa è uno spettacolare anfiteatro naturale affacciato sul mare. Il cimitero rinvenuto nei pressi dell’abitato è stato datato tra l’8 ed il 5 secolo a.C. e, come dicono le guide turistiche, testimonia che l’area è stata abitata sin dall’età del bronzo.
Sbarchiamo nei pressi di un ovile e tiriamo i kayak in secca su un cumulo di posidonia. Ci cambiamo e ci arrampichiamo su per il sentiero di capre che dal mare serpeggia intorno alla collina fino all’anfiteatro, segnalato appena da un cartello sbiadito piantato nel bel mezzo di un terreno incolto lasciato come pascolo per le greggi.
Il sito è aperto tutti i giorni escluso il lunedì dalle otto del mattino alle tre del pomeriggio: oggi non è lunedì ma è chiuso lo stesso. Sarà perché è il 15 di agosto? “Ah, perché oggi è già ferragosto?”, ci chiediamo perplessi avendo completamente perso la nozione del tempo… Eh già, oggi è proprio ferragosto. Niente visita all’anfiteatro, solo un giro all’esterno della recinzione per scattare qualche foto ricordo.
Torniamo mesti ai kayak e ci rimettiamo in mare.
Il vento non è calato ma avendo girato a nord-ovest già dalla tarda mattinata ci accompagna al traverso per gli altri pochi chilometri di navigazione, fino al capo che già si profila all’orizzonte, lungo colline bruciate dal sole e battute dal vento, tanto che non solo mancano gli alberi ma anche le case o costruzioni di qualsiasi genere, ad eccezione ovviamente delle solite chiesette bianche.
Sbarchiamo nel porticciolo riparato dietro al capo, dove sono all’ancora una mezza dozzina di piccoli gozzi: il semicerchio di scogli affioranti che protegge tutta la baia sembra quasi un bacino naturale creato dalle correnti, ma potrebbe anche essere un lavoro artificiale mai terminato. Non riusciamo a capirlo neanche parlando col pescatore che si avvicina a salutarci, perché anche se dice di parlare un poco di spagnolo non sembra capire le nostre domande. Ascoltando il suono sommesso della timida risacca creata da questa curiosa mezza luna di scogli affioranti, mi dedico a “grufolare” per un poco tra i banchi di posidonia e gli scogli lavorati all’uncinetto e con grande sconforto di Mauro trovo quattro orecchie di Venere, un pesce-pennello rosso amaranto ed un vecchissimo rastrello giallo con cinque dita aperte a ventaglio.
Al riparo di uno masso color ruggine che ci proteggerà anche dal vento notturno, Mauro si mette ai fornelli e ceniamo quando il sole cala all’orizzonte, tingendo il cielo rigato di nuvole giallastre di un bel color ramato che ci rimane a lungo impresso nella memoria e nell’iride. E che ci aiuta a contenere un poco l’amarezza che proviamo quando ci raggiungono le tragiche notizie del crollo del ponte di Genova, sul quale siamo passati chissà quante volte anche noi negli anni e nei mesi passati: sappiamo che nessuno dei nostri amici è rimasto coinvolto ma ci sembra comunque assurdo che accadano ancora cose di questo genere…

Appena oltre l'anfiteatro di Hephaestia...
Le scogliere verso Akrotiri Sotira...
Cena nel porticciolo naturale o artificiale di Akrotiri Sotira...
Il faro di Akrotiri Plaka dal versante occidentale...
Il faro di Akrotiri Plaka dal versante orientale...

Giovedì 16 agosto 2018 – 36° giorno di viaggi
Akrotiri Sotira - Poliochni (36 km)
Vento NE 10-12 nodi (F4) – mare mosso – 28°C
Doppiamo il capo nord-est, finalmente!
Aspettiamo che il vento cali anche stamattina.
Ma l’attesa è più breve rispetto ai giorni passati: a mezzogiorno siamo già in mare, pronti a doppiare il capo nord-orientale dell’isola.
Dopo giornate di navigazione programmata e modificata per sottostare alle bizze del Meltemi, peraltro ampiamente annunciate, non ci pare vero di poter superare adesso un capo che ci è sembrato a lungo irraggiungibile. Abbiamo inoltre da soddisfare diverse esigenze, non solo quella di avanzare per completare prima o poi il periplo dell’isola, ma anche quella di dedicare del tempo alla visita di Limnos e delle sue bellezze (anche se nascoste nell’entroterra), oltre a quella non secondaria di rimpinguare le scorte di acqua e di viveri che iniziano ormai a scarseggiare, visto che su questo versante settentrionale sono del tutto assenti degli insediamenti di qualche entità che possano essere definiti centri abitati (e che abbiano qualche negozio oppure una taverna).
Pagaiamo per due ore controvento, coprendo appena i sette chilometri che ci separano dal faro, una bella costruzione bianca, alta ed affusolata che ci ripaga dei tanti giorni passati a lottare contro il Meltemi: almeno questo non è uno dei soliti lilliput-fari issati su un misero treppiedi di ferro dipinto di bianco, ma è una vera e propria vedetta di pietra posta sul basso promontorio che chiude l’isola a fare la guardia a questo angolo di Mar Egeo. Le sue quattro finestre allineate verso l’azzurro del cielo calamitano la nostra attenzione per tutta la durata della veloce pagaiata che compiamo per doppiare il capo: il vento che prima ci ostacolava sotto il faro sembra scomparire, come a tributargli la giusta dose di rispetto e sottomissione; oltre il capo, poi, il vento riprende a soffiare con maggior convinzione, ma visto che le nostre prue nel frattempo hanno virato di quasi 180°, passando da nord-est a sud-ovest, i nostri due kayak corrono sulle onde che è un vero piacere, lasciandoci godere sia della vista del faro che del panorama singolare del capo, e non ultimo anche del mare di poppa, finalmente.
Dopo aver cavalcato con grande soddisfazione e una evidente corrente di marea proprio sulla punta estrema dell’isola, seguiamo un’altrettanto decisa ma invisibile corrente che ci spinge veloci dentro il primo golfo del versante orientale di Limnos. In pochi minuti arriviamo al porto di Paralia Plaka dove sbarchiamo nel solitario e grande scivolo di quest’altra mastodontica opera dimenticata nel nulla per cercare di fare rifornimento di acqua dolce. Troviamo un rubinetto proprio accanto allo scivolo e scambiamo appena due parole con i due uomini che dipingono di blu il gozzo tirato in secca sul molo.
Riprendiamo la navigazione dopo appena mezz’ora, desiderosi di approfittare del vento a favore che da giorni speravamo di sfruttare. Il Meltemi non ci gioca tiri mancini, non cambia direzione in maniera improvvisa ed imprevista, non si mette a soffiare in senso contrario ma segue la nostra navigazione con buona sincronia, come un fedele compagno di viaggio deciso a seguirci e che ci scorta lungo buona parte della costa orientale dell’isola. In queste condizioni è un piacere navigare e passiamo a spron battuto quasi tutte le baie che si aprono su questo versante di Limnos, nascondendo al di là di canneti e qualche rado alberello di tamerice una grande laguna e due più piccoli laghi salmastri, che insieme alle lunghe dune costiere sono state inserite nella zona protetta Natura 2000: queste lande desolate ed isolate, infatti, offrono protezione e riparo a molte specie di uccelli migratori, oltre che a numerose e rare specie autoctone di flora e di fauna. Noi dal mare vediamo solo una breve interruzione nella corona di dune, che forse indica uno degli sfoghi in mare della laguna interna, ed una serie pressoché infinita di spiagge di sabbia dorata completamente deserte, occupate solo all’estremità di Akrotiri Keros dalla comitiva di surfisti tedeschi che già avevamo incontrato sull’altro versante dell’isola.
La costa è battuta dal vento e per una decina di chilometri corre così bassa che il punto più alto sembra essere costituito dai banchi di posidonia ammassati sulla riva. Il sole che inizia a calare dietro l’isola crea un riverbero così forte sull’acqua che rende non solo impossibile scattare fotografie ma anche pagaiare senza stringere gli occhi fino a farli diventare due minuscole fessure.
Superiamo d’infilata le due baie successive di Keros e di Kavallaris, col vento che ci spinge a tre nodi pieni e che ci fa scorrere a fianco le alture interne dell’isola come se fossero su diversi piani prospettici che scivolano via di lato.
Vogliamo raggiungere quel capo rossastro e roccioso e pronunciato che scorgiamo laggiù, poco prima dell’estremità sud-orientale dell’isola, così da superare questa successione di basse baie battute dal vento e da trovare un giusto riparo per la notte, quando il Meltemi torna di solito a far sentire la sua voce.
C’è un piccolo porticciolo ricavato nell’ansa protetta della baia di Poliochni, ai piedi di una chiesetta dedicata ad Agios Georgios, e noi speriamo con tutto il cuore che ci sia anche una taverna. Entriamo nel porto e restiamo di stucco: solo quattro gozzi e troppi banchi di posidonia, talmente alti da rendere difficile persino il nostro sbarco.
Mauro però è inamovibile: vuole lo stesso andare in taverna. In paese. A Kaminia. A cinque chilometri nell’entroterra! Alle otto di sera passate da un pezzo.
Ci mettiamo quasi un’ora ad andare, lungo stradine di cemento dimenticate da tutti che corrono tra campi coltivati, orti e pascoli per le pecore. Quando ormai disperiamo di trovare una taverna perché il paese sembra piombato in un silenzio ovattato, interrotto appena da qualche grillo che canta alle stelle, l’odore invitante dei suvlaki ci penetra nelle narici e ci guida fino alla piazzetta della chiesa, che è ricolma di tavolini apparecchiati e di persone che chiacchierano amabilmente. A noi, però, non ci considera nessuno, neanche i cinque camerieri che corrono avanti e indietro nella piazza adibita a sala all’aperto del piccolo ristorante paesano. Aspettiamo quasi un’ora che si degnino di portarci il menù, di prendere l’ordine e di servirci due piatti di spiedini fumanti: certo ottimi e gustosi, ma dopo questo inspiegabile scarto temporale, sommato alla distanza geografica che ci separa dai kayak, finisce che ceniamo quando sono ormai suonate le undici di sera. Impieghiamo un’altra ora per tornare ai kayak e montiamo la tenda quando è già cominciato un nuovo giorno…

Lungo la costa nord-orientale di Limnos...
Col vento in poppa...
Un momento di magica coincidenza astrale!
Il passaggio di Akrotiri Fourni, oltre i cretti di Burri...
La sosta a Paralia Skidi (la palla resta ai bagnanti!)...

Venerdì 17 agosto 2018 – 37° giorno di viaggio
Poliochni – Moudros (30 km)
Vento NE 8-10 nodi (F3) – mare poco mosso – 30°C
Vento in poppa
Poliochni è un altro dei più rinomati siti archeologici dell’isola, famoso per essere uno degli insediamenti preistorici più importanti del Mar Egeo, ed anche uno dei più antichi d’Europa, fondato addirittura nel quarto secolo a.C. Pare che gli archeologi abbiano scelto di dipingere le varie residenze rinvenute con colori differenti (giallo, rosso, verde, blu, nero, marrone e viola) a seconda dei diversi periodi storici, donando al sito un certo fascino alla pop-art. Noi non lo visitiamo, ne leggiamo solo sulla guida: al nostro arrivo ieri sera era già chiuso da un pezzo e stamattina il sole è talmente forte, ed in questa caletta ridossata dal vento fa crescere la temperatura così tanto, che proprio non ci azzardiamo a rifare la salita di cemento per raggiungere il suo ingresso. Ci accontentiamo di sbirciare dietro le palme che delimitano il sito e che dalla nostra postazione lasciano intravedere una parte degli scavi e qualche antico resto preistorico.
Poi il caldo ci fa battere un altro record, smontare il campo e prendere il mare in meno di due ore. Una volta in kayak, invece, appena usciti nella baia battuta dal vento, avvertiamo un freddo tale da farci venire i brividi.
Passiamo d’infilata la bellissima spiaggia di Makrys Ghialos, sormontata da alte dune dorate punteggiate di tamerici, dalla piccola chiesetta di Aghia Triadha e dai quattro mulini a vento di Aghia Sofia. Corriamo nel vento fino al capo pronunciato e roccioso di Aghios Sozon, sul quale spiccano due pale eoliche la cui luce lampeggiante rossa ci ha guidato ieri notte per tornare dal paese al porto.
Anche qui troviamo le solite correnti di marea che ci attendono su ogni capo e che ci ricordano quanto siano importanti le correnti superficiali che abbracciano tutte le isole del Mar Egeo. Ma stavolta non è la corrente ad attirare la mia attenzione: poco oltre il capo scorgo una palla gialla e blu che rotola sulle ondine gonfiate dal vento chiedendomi assistenza. Con qualche pagaiata la raggiungo e la faccio salire a bordo, infilandola tra le cosce sotto il paraspruzzi: il Meltemi sta rinforzando ma la costa oltre il capo successivo corre da est ad ovest e per un lungo tratto ci proteggerà dalle sue raffiche. Posso quindi correre ancora una volta il rischio di navigare con un pallone nel pozzetto: dopo la palla multicolore di Thassos, adesso è la volta di una palla a volute dorate di Limnos.
Ma le sorprese non finiscono qui.
Sull’ultimo capo dell’isola, Akrotiri Aghia Irini, trovo un altro insperato ed incommensurabile tesoro: un pescetto di legno che galleggia a pelo d’acqua, lungo la linea della corrente costiera segnata dalle foglioline e dai filamenti di posidonia. Un pesce perfetto per la mia collezione! Cerco di spiegare a Mauro l’importanza e la bellezza del momento: una cosa è trovare una palla che rotola sul mare, grande abbastanza da essere avvistata da una certa distanza e visibile anche da lontano per i suoi bei colori vivaci, ma tutt’altra cosa è scovare un piccolo pescetto di legno alla deriva, nascosto sotto il pelo dell’acqua, tra i frangenti delle ondine generate dal vento sul capo ed i riverberi della luce forte del primo pomeriggio a picco sul mare. Chi avrebbe mai potuto prevedere con una così perfetta sincronia astrale che io avrei incrociato la rotta di questo bellissimo pesciolino proprio alle due del pomeriggio di questo speciale venerdì 17 agosto dell’anno di grazia 2018? E senza mutare di un grado la mia rotta, senza manovrare per recuperarlo, senza neanche fermarmi o dover tornare indietro: insomma, un vero e proprio incontro magico, di quelli che capitano solo una volta nella vita! Ma Mauro non sembra cogliere l’incredibile coincidenza, scatta solo una foto e tira dritto.
Oltre il capo dei miracolosi incontri marini si apre un lungo tratto di costa bassa e rocciosa in cui i vari scogli piatti e dorati che scivolano in mare ricordano i cretti di Burri, laddove i vari massi cotti dal sole si spaccano in tante fenditure irregolari che segnano tutta la riva.
Oltre una chiesetta bianca dimenticata nella radura si apre una baietta idilliaca dove sbarchiamo per una meritata sosta. E per uno shampoo, il primo dopo giorni di navigazione nel vento, che ha trasformato i nostri capelli in ammassi di sterpaglia intrecciata e bruciata dal sole.
Mancano poche pagaiate per raggiungere il capo più esaltato dell’isola, quello di cui la carta turistica della Terrain decanta le grotte ed i faraglioni e le incredibili formazioni rocciose di origine vulcanica. Sarà che siamo un po’ stanchi di questo piattume che caratterizza l’isola di Limnos, o del fatto che in due giorni abbiamo pagaiato intorno alla stessa collina dalla vertiginosa altezza di ben 250 metri sul livello del mare (talmente irrilevante che Mauro insinua che la misura sia comprensiva anche delle due altissime antenne telefoniche che spiccano sulla sua cima), sarà che non vediamo l’ora di arrivare in porto per fiondarci in taverna, ma insomma noi tutte queste bellezze non le vediamo, né la grotta, né i faraglioni né le rocce vulcaniche. Niente vediamo, solo un lilliput-faro piazzato sul costone roccioso alto una spanna che segnala l’ingresso nel grande golfo interno di Moudros. Nient’altro. Poi solo altre spiagge sabbiose tra canneti e banchi di posidonia e qualche casetta di villeggiatura. Fino al porto.
Perdiamo un po’ di tempo a scovare un punto di sbarco che faccia al caso nostro, lungo questa costa bassa che digrada senza soluzione di continuità dai campi coltivati dell’entroterra ai greti dei fiumi che solcano la campagna, fino ai pantani umidi e melmosi che si aprono alle porte della città. Poi finalmente raggiungiamo il porto e scoviamo un angolino pietroso alle spalle della diga foranea dove forse riusciamo a tirare in secca i kayak e a ricavarci uno spazio per la tenda. Magari anche al riparo dal vento, dietro una di quelle tamerici rinsecchite che nascono proprio ai bordi dello spiazzo di cemento del porto di Moudros. E così è: alle porte del paese più grande ed importante dell’isola di Limnos c’è un posto adatto anche per noi.
In pochi minuti siamo seduti alla taverna del porto, a gustare i pochi piatti disponibili del menù, con la mezza luna che si affaccia tra gli alberi delle uniche due vele attraccate al molo principale.

Controluce...
La costa bruciata oltre Paralia Skidi... 
L'unico scorcio interessante di Akrotiri Malathria...
Il conglomerato pericolante verso Akrotiri Sagrada...
La curiosa cattedrale di Moudros...

Sabato 18 agosto 2018 – 38° giorno di viaggio
Moudros – Moudros (0 km)
Vento NE 10 nodi (F3) – mare poco mosso – 32°C
Sosta in porto
La notte è stata travagliata.
Non per il vento, che per una volta ci ha lasciati tranquilli, ma per i vari rumori molesti che ci hanno svegliato più volte e per intervalli sempre più lunghi: prima la musica di una discoteca lontana ma comunque per noi troppo vicina, poi i canti di troppi galli svegli ben prima dell’alba, infine i guaiti di un cane che forse soffre della sindrome del buio e che si placa soltanto dopo il sorgere del sole. Quando noi ci ritroviamo a guardarci con occhi sbarrati e sonnolenti, consapevoli di avere già perso buona parte delle energie che invece speravamo di recuperare.
Ci trasciniamo a fatica ai tavolini all’ombra del bar del porto.
Neanche dopo due caffè frappè e due crepes al cioccolato riusciamo a riprendere vigore. Ci vogliono ancora un paio d’ore di lenta rinascita per potere affrontare la salita al paese, una scalinata più in su del porto, appena dietro il Museo Marittimo in cui trascorriamo un’altra mezz’ora, seduti nella sala proiezioni, aspettando la fine del filmato sulla storia singolare dell’isola di Limnos, punto di snodo tra Oriente ed Occidente che nei secoli ha risvegliato gli istinti guerrafondai di mezzo mondo e centro nevralgico dell’accoglienza dei profughi greci dopo la tragica fuga dall’Asia Minore del 1922.
Sperando di avere recuperare forze sufficienti, ci avventuriamo per le viuzze soleggiate del paese, raggiungiamo la cattedrale dai curiosi campanili decorati con colonnine celesti, entriamo in uno dei pochissimi negozi di alimentari e poi caracolliamo di nuovo ai tavoli all’ombra del bar del porto.
Il bello della Grecia è anche questo: bar e ristoranti sono aperti tutto il giorno, da mattina a sera, senza nessuna interruzione, ed i camerieri si danno il cambio per garantire ai turisti un servizio continuato dal primo mattino alla notte inoltrata, con una gentilezza che lascia di stucco se si considera che lavorano per tutta l’estate sotto il sole cocente dell’Egeo e che lottano per tutto il giorno contro l’assalto sferzante del Meltemi.
Il bar del porto di Moudros ha occupato coi suoi tavolini dal ripiano di vetro tutta la piazzetta circolare raccolta intorno ad una fontana centrale ed abbellita da alberelli di rubinie, palme e pini che corrono lungo i vialetti mattonati: sembra un tacito accordo tra l’amministrazione comunale ed il privato imprenditore per rianimare le giornate assolate di questa cittadina altrimenti sonnecchiante e fin troppo tranquilla.
Noi ci troviamo perfettamente a nostro agio in questo porticciolo appartato di Limnos ed aggiorniamo il blog nel tranquillo silenzio del pomeriggio, seduti accanto ad una siepe impreziosita da alcune pesanti gomene azzurre, talmente lunghe che ci fanno interrogare se non siano state recuperate da chissà quale traghetto dismesso oppure comperate delle giusta misura per adornare tutto il giardino occupato dal locale. Dove noi aspettiamo che faccia sera, per spostarci poi nella vicina taverna a cenare di gusto e dopo ancora per rinvigorirci del fresco che in serata arriva finalmente a coronare una lunga e “faticosa” giornata di riposo.
Il vento è annunciato in aumento per la notte: dovremo cercare un riparo migliore per la nostra tenda, che Mauro ha già adocchiato e che dovremmo farci andare bene lo stesso anche se è un po’ troppo lontano dai kayak…

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