Pyrgadikia – Trypiti + Nea
Roda (21 km
in mare + 3 km
col carrellino in strada)
Vento E 6-8 nodi (F3) –
mare calmo – 30°C
Addio Monte Athos!
E’ l’alba di un nuovo
giorno, vissuta tra le rondini che sfrecciano a pelo d’acqua ed un giovane
pipistrello un po’ confuso: ci godiamo le prime luci che inondano la tenda dalla
nostra privilegiata terrazza sul mare, quella inventata ieri sera sul prato
fiorito all’estremità del porticciolo tranquillo di questo paesino altrettanto
tranquillo, così tranquillo che non c’è nemmeno un rubinetto dell’acqua e
neanche un rivenditore di sigarette…
Quando scende a fare il
bagno una coppia di russi ciarlieri e simpatici, facciamo un poco di
conversazione in esperanto, usando soprattutto la lingua dei segni: vogliono
sapere dove andiamo, da dove veniamo e di quale paese siamo (Ygor, Tanja –
Russia, and you?) e quando partiamo i loro volti si aprono in grandi sorrisi,
salutandoci col pollice alzato e dicendo in coro “Italia plus”!
Siamo in mare.
Subito dopo il promontorio
roccioso del paesino di Pyrgadikia si apre una lunga spiaggia di sabbia bianca
completamente deserta e poco oltre una serie di calette incastonate tra
collinette ricoperte di macchia mediterranea. Scegliamo l’ultima baia per una
breve sosta e per rianimarci un poco: dopo un’ora e mezza di navigazione abbiamo
coperto appena quattro chilometri.
Superato il capo scorgiamo
tre collinette di arenaria rossa che ci ricordano quelle incontrate nei pressi
del canale di Kassandra, il primo dito della penisola calcidica. Invece di
stabilimenti balneari e musica a tutto volume, qui abbiamo la fortuna ed il
piacere di incontrare una piccola taverna raccolta sotto un boschetto di acacie,
coi tavolini decorati di sassi e conchiglie e con legnetti colorati che
oscillano tra i rami. E’ talmente bella che ci fermiamo per un’altra breve
sosta: anche se è ora di pranzo e tutti attorno a noi mangiamo a quattro
palmenti, noi teniamo fede al fioretto fatto alla partenza di sfamarci soltanto
con barrette di sesamo e miele… oppure con un doppio gelato, quando capita!
Proseguiamo verso l’ultimo
dito della calcidica, il famoso Monte Athos, o meglio la Repubblica monastica
del Monte Athos, un territorio autonomo della Grecia in cui vige un antico statuto
medioevale. L’ingresso è precluso alle donne, anzi alle femmine di ogni specie
domestica, ad esclusione delle gatte. Anche se abbiamo escogitato una serie
pressoché infinita di stratagemmi per aggirare il divieto, ci siamo infine
persuasi della necessità di rispettare la regola, per quanto arcaica ed
incomprensibile, di questa millenaria comunità di religiosi. Mi chiedo ancora
come possano controllare il transito di tartarughe, coniglie o tortore, e di tutte
le altre femmine di specie “domestiche” diverse dal genere umano che pure
vivranno tra le pendici del Monte Athos. Ma non mi aspetto una risposta
razionale. Non c’è.
Prima di partire abbiamo
letto diversi articoli sulla repubblica religiosa ed avevamo anche pensato di chiedere
un permesso di soggiorno soltanto per Mauro, ma poi ci siamo ricreduti perché
non eravamo neanche certi di riuscire a fare il viaggio, figurarsi visitare il
Monte Athos. Durante il viaggio, poi, avevamo ipotizzato di chiedere un
passaggio via mare ad una delle barche a vela incrociate lungo il cammino: ma
ci siamo presto resi conto che nessuna di quelle all’ancora nei porticcioli
dove anche noi siamo sbarcati aveva in programma quella rotta. Mauro si è poi
convinto che legare i kayak come due tender alla poppa di una vela non avrebbe
fatto bene all’onore dei Voyager. E soprattutto io avrei dovuto vincere il mio
notorio mal di mare quando salgo su una qualsiasi altra imbarcazione che non
sia il mio amato kayak.
Da quando l’abbiamo
avvistato per la prima volta, la settimana scorsa, il Monte Athos è sempre
rimasto avvolto da mirabili cumulonembi: se è così ogni giorno dell’anno, i
monaci devono vivere con la testa tra le nuvole. Incuriosita dalla storia, mi
sono chiesta più volte quale potrà mai essere il castigo previsto in caso di
violazione del divieto. Pare che qualche donna sia riuscita ad entrare in
passato, camuffata da uomo e scortata da altri uomini, ma erano sovrane di
altre epoche che potevano permettersi ogni cosa. Oppure, come riporta
wikipedia, un gruppo di partigiane comuniste durante la seconda guerra
mondiale, ma allora erano saltate ben altre regole che non quelle religiose. L’unica
testimonianza attuale ed indiretta che ho trovato curiosando sul web è quella
di una giornalista greca che, restando a debita distanza sulla vicina penisola
di Sithonia, ipotizzava una sola punizione: l’anatema. Ora, che lancino un
anatema ad un’atea incallita come me non sarebbe poi una grave cosa e potrebbe
anche non avere alcuna conseguenza reale ma… Ecco, addio Monte Athos, allora!
Ce ne restiamo tranquilli
al di qua della frontiera.
Scegliamo per una terza
breve sosta la lunga spiaggia deserta di una pronunciata penisola sabbiosa,
forse formatasi coi sedimenti di un fiume che però non vediamo neanche quando
sbarchiamo. Siamo a due passi da Trypiti, il paesino da cui partono i traghetti
per la vicina isola di Ammouliani, bassa ed anonima come il resto della
terraferma sin’ora costeggiata. Potremmo anche proseguire qualche altro
chilometro verso sud, raggiungere il porto di Ourianopolis, da dove partono i
traghetti per la visita dell’unica cittadina abitata del Monto Athos: lì forse
troveremmo qualche altro velista a cui chiedere un passaggio, ma tanto tra noi
abbiamo già deciso. Trasbordiamo.
Entriamo nel porticciolo
di Trypiyi proprio mentre attracca un traghetto ed i due ometti in divisa della
Guardia Costiera ci dicono di fare attenzione all’onda di ritorno. Che però non
arriva. Mai: il traghetto è talmente piccolo che a malapena solleva qualche
spruzzo.
Sbarchiamo e ci prepariamo
alla ben nota fatica di trasportare i kayak via terra sull’altro versante
dell’istmo usando i carrellini di ordinanza, che oggi per la prima volta
dall’inizio del viaggio danno prova della loro utilità.
Da Trypiti a Nea Roda la
carta riporta che ci sono tre chilometri di strada asfaltata ed il GPS assicura
che la massima altezza è di 16
metri . Dopo la prima salita siamo già da buttare via. E
dopo la prima curva siamo talmente sudati che non andiamo più bene neanche per
le zanzare. Fortuna che la strada è poco frequentata e che di tanto in tanto si
aprono delle piccole oasi d’ombra: il sole, rimasto nascosto per tutto il
giorno dietro una spessa coltre di nuvole, ha scelto proprio il momento giusto
per tornare allo scoperto. Ma la distanza tra le due cittadine è davvero di
appena 3 chilometri: che valgono comunque la fatica di 30 chilometri in
kayak controvento!
Impieghiamo un’ora scarsa
per coprire il percorso stradale. Ma arriviamo sfatti. Abbiamo giusto le forze
per dissodare un angolino adatto alla nostra tenda, spostando un cumulo di
plastica abbandonata in spiaggia ed un monte di legnetti trasportati dal mare,
tra cui trovo diversi “esemplari” adatti alla mia collezione di pescetti,
compreso anche un pesce-corteccia che starà benissimo nella composizione “liberi
come pesci nel mare” che ho promesso alla mia amica Mirella.
Poi ci sosteniamo a
vicenda per raggiungere la taverna più vicina.
Dove impariamo una nuova
parola: xirinò. Grazie alla titolare molto loquace che per prima cosa ci chiede
se siamo serbi o bulgari e quando capisce che invece siamo italiani ci
interroga su tutta una serie di parole che vuole tradurre dal menù e si appunta
sul blocchetto delle ordinazioni come si dice in italiano pyta, pollo e senape.
Tra una parola di greco ed una di italiano, riusciamo finalmente a chiedere i
nostri piatti: Parakalò, dio gyros xirino, efharistò. Due porzioni di kebab di
maiale: che spariscono in un batti baleno!
La nostra privilegiata terrazza sul mare a Pyrgadikia... |
Colazione in riva al mare.... |
La costa delle cinque spiagge... |
Il capo roccioso oltre le cinque spiagge... |
Pronti per la sfacchinata... |
A terra! |
L'alba sull'altro versante... |
Lunedì 30 luglio 2018 –
19° giorno di viaggio
Nea Roda – Akrotiri
Marmaris (29 km )
Vento SE 5-6 (F2) in
attenuazione – mare calmo – 28°C
Tornare giovani
Sveglia all’alba.
Il sole ci entra in tenda
alle 6 e mezza del mattino. Resistiamo solo fino alle sette, poi tutto diventa
bollente. Usciamo e smontiamo.
Quando gli altri giorni
abbiamo appena aperto gli occhi, alle nove e mezza, oggi invece siamo già
pronti per prendere il mare. E all’ora di pranzo abbiamo già pagaiato per 18 chilometri , con
mare gentile al giardinetto. Ci ricordiamo dei nostri viaggi di dieci anni fa,
quando la sveglia era sempre all’alba e la percorrenza media giornaliera di
gran lunga superiore all’attuale.
Costeggiamo al largo,
stanchi di questa costa monotona ed anonima. Ci dirigiamo verso un paesino
quasi nascosto da un vecchio e dismesso cementificio. Viriamo ancora e
cerchiamo una cala adatta per una sosta: quella delle mucche al pascolo coi
vitellini al seguito sembra ideale, ma non abbiamo pensato che dove ci sono le
vacche ci sono sempre anche i tafani. Vengo assalita a più riprese, mentre
Mauro fuma tranquillo all’ombra di una grande pianta di fico. Non riesco ad
aspettare che finisca la sigaretta, mi rimetto in kayak e scappo in mare.
Salva!
Doppiamo finalmente il
capo che chiude l’ampio golfo di Ierissos, abbracciato dai due promontori
gemelli dell’ultima propaggine del Monte Athos e dell’ultima penisola che siamo
disposti a costeggiare. Non che sia brutta, così ricoperta di fitta macchia
mediterranea. Solo che non c’è niente di interessante, né una grotta, né un
arco naturale, né un faraglione, niente. Con un grande sforzo di fantasia,
grazie solo al gioco di luci ed ombre indotto dal sole del primo pomeriggio,
Mauro scopre una certa somiglianza tra uno scoglio rossastro e niente di meno
che La Pietà di
Michelangelo. L’unica nota di colore sono le tante meduse greche avvistate
nell’acqua calma e cristallina, quelle con la corolla ombrata e tanti pallini
violetti attaccati ai filamenti, che a me ricordano sempre i gonnellini
tradizionali dei danzatori greci. Per il resto, la costa corre uguale a se
stessa, senza nessuna particolare attrattiva per due viandanti del mare. C’è
silenzio, questo si, quello che andiamo rincorrendo da settimane! Ma poco
altro, purtroppo.
Entriamo nella prima cala,
occupata da una dozzina di vasche di un piccolo allevamento ittico. Il
pescatore che sta dando da mangiare ai pesci ci rivolge un saluto frettoloso e
noi lo interpretiamo come un lasciapassare. Scegliamo l’ultimo angolo della
spiaggia, quello attrezzato di tutto punto con un telo parasole e due lettini
prendisole. C’è un folto gruppo di aironi cinerini che fa la spola tra gli
alberi poco sopra le nostre teste e le vasche dei pesci, facendoci sobbalzare
dalla sorpresa ogni volta che emettono quel loro grido stridulo: un uccello
tanto elegante dovrebbe essere dotato di un verso meno indisponente.
Mentre consumiamo una
merenda a base di grissini di sesamo ed uva, veniamo raggiunti dal pescatore
che, ancora con la tuta gialla da lavoro ha percorso a grandi falcate tutta la
spiaggia per venirci a chiedere di che paese siamo: Ah italiani, kalà kalà,
bene bene. E se ne va, senza nessun’altra parola o spiegazione che possa farci
capire il perché di questa sua incursione.
Siccome si profila
all’orizzonte un nuovo temporale estivo, cuciniamo minestra e fagioli, tanto
per restare in atmosfera.
E ci chiudiamo in tenda
mentre fuori piove.
Il cielo tipico di queste giornate di navigazione... |
L'arrivo ad Akrotiri Marmaris... |
La mappa della "nostra" Calcidica! |
Un prezioso ritrovamento che non abbiamo purtroppo potuto imbarcare! |
Nel bel mezzo del taglione... |
L'ennesimo temporale estivo... |
La strepitosa meridoana di Yannis! |
Il nostro cane da guardia per una notte... |
Martedì 31 luglio 2018 –
20° giorno di viaggio
Akrotiri Marmaris –
Paralia Yannis (25 km )
Vento N variabile 2-3 nodi
(F1) – mare calmo – 26°C
Taglione
Lasciamo le tante comodità
della nostra casa per una notte e ci mettiamo in kayak decisi a tagliare il
successivo profondo golfo di Orfani. Anche se non si vede niente dall’altra
parte, con la spessa coltre di foschia che oggi ricopre ogni cosa intorno a
noi. Partiamo senza vedere il punto di arrivo.
La traversata al largo non
è poi così impegnativa: almeno ci risparmiamo tre giorni lungo una costa che
non promette nessuna attrattiva.
Appena fuori dal capo,
invece, dopo appena mezz’ora di navigazione, incrociamo una evidente corrente
che taglia il mare in due sezioni nettamente distinte: di qua l’acqua è ferma
come una tavola, di là è appena increspata, e anche il colore cambia in maniera
decisa, argentato prima e scuro dopo. Le prue dei nostri Voyager, notoriamente
direzionali, virano di circa 20 gradi non appena incontrano la linea della
corrente, a riprova del fatto che le correnti superficiali del Mar Egeo non
sono poi del tutto trascurabili per la navigazione in kayak. Superato il primo
momento di sorpresa, riprendiamo la nostra rotta dopo un’opportuna correzione,
ascoltando il rumore lontano di un motore: “Forse c’è qualcun altro in mare,
stamattina”, visto che sono giorni che non vediamo nessuno. Ma Mauro spegne
ogni mia speranza: “E’ un aereo!” E anche quando avvistiamo, ormai oltre la
metà del taglione, un motoscafo che corre veloce lungo la costa, capiamo subito
dopo che in realtà si tratta di un camion che passa sulla strada costiera. In
mare ci siamo solo noi.
La brezza leggera sembra
giungere in tempo per diradare la foschia. Dapprima contraria, poi si mette al
mascone sinistro, al traverso dopo la seconda ora di navigazione ed infine,
quando finalmente intravediamo la costa sull’altro versante, al mascone destro.
Siamo quasi a metà del
golfo ed il tempo non sembra voler migliorare: seguiamo l’evoluzione di ben tre
temporali che chiudono la costa dietro muraglioni di pioggia. Noi speriamo di
evitarli tutti ma ci tocca di essere investiti proprio dall’ultimo: l’acqua
scende all’improvviso, dapprima leggera e gentile, quasi rinfrescante dopo
tanto pagaiare, poi più decisa e pesante, con un tintinnio sul mare che mette
allegria, infine aggressiva e battente come a volerci punire della scelta della
traversata. Adesso non vediamo più neanche la costa che fino a poco prima ci
sembrava così vicina: arriviamo senza vedere il punto di sbarco. E così per una
buona mezz’ora: navighiamo col solo aiuto del GPS.
Finchè le nuvole passano
oltre e la pioggia si dirada: i colori tornano a dipingere il mondo, profumato
di resina e di terra bagnata. Scorgiamo una spiaggia di sabbia chiara ed una
caletta al suo fondo dove non entrano le onde lunghe che arrivano chissà come
dal largo, e che prendono a farci andare su è giù di oltre un metro.
Yannis ci accoglie con
grandi sorrisi e ci prepara subito un caffè frappè freddo e zuccherato. Ci dice
di sentirci a casa nostra: free paralia, spiaggia libera, anche se lui ci si è
piazzato con la roulotte, la tenda, l’ombrellone, quattro sdraio, un tavolo,
due sedie, una canna da pesca e, udite udite, una sorprendente e spettacolare
meridiana! Si capisce che Yannis ha già trascorso molto tempo in spiaggia
quest’estate: 100 giorni, si affretta a precisare lui, disegnando i numeri
sulla sabbia. La meridiana è il suo orgoglio e si mette accanto a me ad
indicarmi le ore quando mi avvicino per ammirarla: è fatta di sassi policromi e
conchiglie diverse e ricci di mare e una pinna nobilis e tanta, tantissima
cura! E’ un’opera d’arte. Scatta la simpatia ed iniziamo a chiacchierare, anche
se noi non parliamo greco, salvo quelle settanta parole imparate negli anni, e
Yannis non parla italiano, ma usa un poco di inglese per farsi capire meglio.
Ci basta bere una bottiglia di retsina tutti insieme per arrivarci a raccontare
grandi storie e lui non la smette più di farci domande sul nostro viaggio e
anche su quelli precedenti, quando scopre che siamo stati a Creta, alle Ioniche
e alle Cicladi. Bravo, continua a ripetere, mentre ci riempie i bicchieri di
questo suo vino dolce ed aromatico.
La notte arriva presto.
Con le stelle a riempire il cielo sopra la nostra tenda. Ed un cane randagio
che decide di farci la guardia: si avvicina scodinzolando, si rotola nella
sabbia e poi prende a mugolare un po’. Quando Mauro si addormenta, neanche si
fossero messi d’accordo prima, anche il cane inizia a russare.
Amici a quattro zampe... |
L'unica torre della costa... |
Guarda: uno scoglio! |
Thassos di là dal mare, sotto un temporale... |
Mi sono attardata per salvare una mucca verde di vetroresina incagliata tra gli scogli ma... |
L'orrore! |
L'idillio!!! |
Mercoledì 1 agosto 2018 – 21° giorno di viaggio
Paralia Yannis – Akrotiri
Vrasidha (27 km )
Vento S 8-10 nodi (F3) –
mare poco mosso – 30°C
La spiaggia più affollata
della Grecia
Yannis ci prepara un caffè
frappè anche per la colazione.
Riprendiamo le sane
abitudini di sveglie lente ed imbarchi ancor più lenti: ci mettiamo in kayak
alle undici appena suonate. E seguiamo un delfino per oltre mezz’ora: comparso sul
primo capo, veloce nelle sue battute di pesca, con tanti pesciolini che gli
svolazzano attorno ogni volta che salta fuori dall’acqua, ci scorta per una
paio di capi, continuando con le sue evoluzioni in mare a due passi dalla
spiaggia, su fondali così bassi e dall’acqua così trasparente che ci aspettiamo
di vederlo passare sotto le chiglie dei nostri kayak da un momento all’altro.
Invece notiamo una razza, bella ed immota sulla sabbia giallognola, con tante
macchioline gialle anche sul suo dorso, o forse era soltanto un effetto ottico,
perché quando provo a cercarla di nuovo è già sparita. Il delfino invece torna
alla carica, insegue dei branchi di pesce, fa altri salti sul pelo dell’acqua,
mostra la pinna caudale decine di volte, sempre con quel suo fare lento ma
deciso, come di chi si sente a casa propria. Ci tiene compagnia a lungo, molto
più di quanto ci sia mai capitato in passato nel Mediterraneo: una volta in
Scozia abbiamo giocato con un vasto gruppo di delfini bottle-nose, che facevano
capriole ed acrobazie sulle onde e tutto intorno ai nostri kayak, ma eravamo in
una delle baie più famose per il ritrovo e l’accoppiamento di quella specie di
delfini. Qui nel Mare Nostrum gli incontri coi delfini sono sempre stati molto
brevi, qualche pinna scura avvista a notevole distanza dai kayak: oggi invece
la compagnia non solo è duratura e ravvicinata ma anche molto interessante,
perché il delfino sembra volerci mettere a parte delle sue personali tecniche
di pesca.
Dimentichiamo la costa.
Per un po’, almeno. Poi torna a farsi notare, con la sua linea bassa ed
anonima, con i suoi campeggi liberi iper-organizzati, con la sua totale assenza
di attrazione. L’unico punto di qualche interesse è quello attorno alla
diroccata torre di Apollonia, con qualche scoglio precipitato in mare, ma per
il resto niente. Ancora niente. Solo un trattore verde per portare in spiaggia
il carrello del gommone: qui usano i trattori. Poi basta.
Quando pensiamo di avere
finalmente raggiunto un capo interessante, l’orrore: è la spiaggia più
affollata di tutta la Grecia ,
stracolma di ombrelloni e sdraio e testoline nell’acqua e pedalò colorati e
gommoncini gonfiabili trainati da motoscafi impazziti. La cosa peggiore però è
la musica, sparata a così alto volume da fare male. Alle orecchie e all’anima.
Restiamo impietriti: possibile mai che ci sia tanta ottusità, non capiamo se
tra i gestori oppure tra gli avventori, comunque insopportabile. Sarà che
stiamo diventando vecchi, ma la musica al mare ci sembra inutile, quando c’è
già la Musica
del Mare a farla da padrona, se poi è così forte da costringere ad urlare
allora no, non ce la possiamo proprio fare. Prendiamo ad urlare persino noi due
in kayak, e siamo pure sopravento rispetto agli stabilimenti balneari. Che
lanciano la propria musica su quella dello stabilimento vicino, con un
intreccio malsano che ci fa tremare.
Aumentiamo l’andatura per
superare il capo.
Oltre regna il silenzio. E
tanto per cambiare, è in arrivo un altro temporale. Il vento che sin’ora ci ha
accompagnato adesso cambia completamente direzione, scende dall’entroterra in
mare e solleva onde contrarie alla nostra marcia. Che però si arresta presto su
una spiaggia ricoperta di posidonia al fondo di una baia pronunciata, proprio
sul capo dietro il quale si nasconde il paesino di Iraklitza. Che potrebbe
essere stracolmo di altri bagni attrezzati e di altra musica assordante: quindi
meglio non rischiare e fermarsi prima.
Il vento sale insieme ai
nuvoloni scuri: ci affrettiamo a montare la tenda sotto un ulivo, incalzati dai
tuoni che oggi fanno il rumore delle pentole sbattute. Poi tutto si placa e noi
ci accomodiamo sul tavolo ricavato da un grande rocchetto di legno che i tre
ragazzi “vicini di casa” ci mettono gentilmente a disposizione. Apparecchiamo
tutta l’attrezzatura elettronica per aggiornare il blog mentre i vicini suonano
la chitarra in giardino.
Domani traversiamo
sull’isola di Thassos, finalmente!
Nessun commento :
Posta un commento